mercoledì 15 luglio 2009

Credere nell'immaginato: l'induzione di falsi ricordi (II parte)

Tutti quanti siamo disposti ad accettare, in talune condizioni, molto più di quello che il buon senso e la logica ci farebbero supporre (Mazzoni, 1997).

Le ricerche sulla suggestionabilità hanno messo in luce come la nostra memoria sia sorprendentemente modificabile. Difatti i pazienti con varie forme di amnesia “costruiscono” memorie non vere.

Gli studi di Ceci e collaboratori (Ceci, Ross e Toglia, 1987) hanno per esempio evidenziato che i bambini spesso adottano e si appropriano dei contenuti implicitamente (o esplicitamente) suggeriti dagli adulti.

In uno degli esperimenti realizzati da questi autori, dei bambini assistevano ad una scena. Il giorno successivo gli sperimentatori facevano delle domande ai bambini sull'evento cui avevano assistito. Queste domande erano inducenti, del tipo “Ti ricordi a che ora è entrato in classe il signore che aveva una cartella rossa sotto il braccio?” quando in realtà l'uomo aveva un libro in mano.

Nel compito del riconoscimento successivo, che avveniva dopo una settimana, circa il 60% dei bambini sceglieva la risposta suggerita dall'intervistatore.

In questo caso, anche una sola domanda mal fatta ha fatto sì che la maggioranza del gruppo di bambini abbia sviluppato un 'falso ricordo'.




Altri lavori (Bruck e Ceci, 1997; Mazzoni, 1998) hanno evidenziato come il contenuto suggerito può facilmente sostituire il ricordo dell'evento originario.

Se in una serie di colloqui viene ripetuto lo stesso contenuto “non vero” (per esempio mediante la stessa frase o con la stessa domanda induttiva), i soggetti arrivano a ricordare episodi mai realmente accaduti nella loro vita.

Mesi di interviste, colloqui, domande, suggerimenti, possono produrre una sorta di “narrazione collettiva” di eventi mai accaduti (Elizabeth Loftus, 1995).

Durante un esperimento, per esempio, venivano scelti degli adolescenti che sostenevano di non essersi mai persi in un centro commerciale da piccoli e la cui versione veniva confermata dai genitori, e si chiedeva a ciascuno di immaginare la scena che si sarebbe potuta verificare in caso si fossero davvero persi. Si suggeriva loro di immaginare con chi fossero, dove si trovassero, cosa stessero facendo fino al momento in cui si perdevano. Veniva loro detto che tale racconto era ricordato dal proprio fratello o sorella. Dopo qualche tempo si chiedeva a ciascuno di ricordarsi qualcosa su quando si era perso da piccolo al centro commerciale. A questo punto gli adolescenti sostenevano che era molto probabile che si fossero persi realmente e addirittura ricordavano aspetti dell'evento.




Altre ricerche hanno evidenziato quanto la gente sia più facilmente suggestionabile quanto più l'inganno mnemonico si riferisce ad eventi che coinvolgono il proprio corpo (Ornstein, Gordon, Laurus, 1992).

In un lavoro realizzato con un campione di bambini, Bruck, Hembrook e Ceci hanno dimostrato che durante delle interviste a bambini, ripetendo delle informazioni errate rispetto ad una visita medica, sono stati determinati dei falsi ricordi in loro.

Difatti durante l'esperimento ai bambini, la cui visita medica era stata videoregistrata, veniva suggerito nel corso di tre interviste successive, che il medico li aveva toccati in un certo modo, quando questo non era vero e il video lo testimoniava. Ebbene, alla quarta intervista i bambini spontaneamente tendevano a riportare di essere stati toccati dal medico nel modo che era stato suggerito loro tramite l'intervista.

Spiega la professoressa Mazzoni:


"Il ricordo è il prodotto dell'attivazione di aree del cervello contenenti informazioni codificate nel tempo. Il nostro cervello memorizza solo elementi di un episodio, non tutti i dettagli, come avviene in un filmato. Eppure nell'attivare la memoria, inconsapevolmente, riempiamo i vuoti, inserendo elementi che per noi "hanno senso" in quel contesto, anche se non sono accaduti realmente. Per esempio, stereotipi e pregiudizi vengono utilizzati per riempire i vuoti e un testimone "ricorderà" che il ladro era una persona di colore se il suo stereotipo è che la maggioranza dei furti vengono commessi da persone di colore".

La memoria, dunque, riserva molte insidie. Gullotta, precisa che "I nostri occhi e le nostre orecchie, sono organi sociali, non oggettivi. Capita spesso che noi vediamo o ascoltiamo ciò che ci aspettiamo di vedere e ascoltare".

Gardner (2004) denominò la sindrome da falso ricordo quel disturbo psichiatrico che compare nell'età adulta e che colpisce soprattutto i soggetti di sesso femminile. La manifestazione principale è la convinzione di essere stati abusati sessualmente durante l'infanzia da parte di un familiare o comunque di una persona molto vicina, anche se tutto questo non trova alcuna corrispondenza nella realtà.

Secondo gli studi di Brainerd e Reyna (2005), tale ricordo si sviluppa nel corso di una “psicoterapia” più o meno riconosciuta. La sindrome è caratterizzata dalle seguenti manifestazioni:

la convinzione persistente di essere stati abusati sessualmente nell'infanzia

il ricordo di elementi impossibili e/o assurdi

la convinzione che il presunto abusante è un membro della propria famiglia

la convinzione che altri membri della famiglia abbiano favorito l'abuso sessuale

la convinzione di aver rimosso per lungo tempo tali ricordi

la rievocazione delle memorie di abuso nel contesto di un percorso caratterizzato da tecniche simil-ipnotiche impiegate per recuperare i presunti ricordi “rimossi”

la convinzione che i ricordi felici dell'infanzia siano falsi

altre manifestazioni psicopatologiche (isteria, paranoia, problemi sessuali, disturbi dell'umore, disturbo di personalità multipla, disturbo post-traumatico da stress).

Dr.ssa Lorita Tinelli


12 Luglio 09

-continua-