sabato 4 luglio 2009

Le sette -tratto dalla rivista Focus

ferito, perde sangue, ma corre come un matto. Taglia i sentieri e la vegetazione delle campagne consentine, cerca aiuto. Raggiunge un ospedale a valle. È sotto shock, Tommaso, ha il respiro corto. Balbetta: «Mi hanno sparato durante una rapina». Ma non è la verità. La polizia lo mette alle strette, insiste: «Chi ti ha ridotto in queste condizioni?». L’uomo piange, prega, cede: indica una masseria sulle colline di Cosenza. L’inferno. È una notte di fine maggio del 1988. Gli agenti circondano la cascina e fanno irruzione, squarciando il velo su una scena da film horror: sessanta persone vestite di bianco, scalze e sudate, stanno scandendo una nenia misteriosa. Al centro della stanza, la santona Lidia, la guaritrice della Calabria, dirige le danze. A terra, ci sono oltre mezzo miliardo di lire, armi, una foto del piccolo Marco Fiora (rapito a Torino pochi mesi prima) e un giovane incaprettato e ucciso a colpi di pistola. Era stato l’ultimo degli adepti a tentare la fuga. L’ultimo prima di Tommaso.
Sono trascorsi quasi vent’anni dalla scoperta del Gruppo del Rosario. La setta, sulla quale gravano ancora tante ombre, era stata fondata negli anni Settanta da Antonio Naccarato. A lungo era cresciuta all’insaputa delle autorità, riuscendo a reclutare più di 800 seguaci, la maggior parte dei quali in Piemonte. Nel mondo, l’allarme sette era scattato da un pezzo: nel 1978, nel villaggio di Jonestown (Guyana), 923 adepti della setta del Tempio del Popolo si erano avvelenati col cianuro, istigati dal guru Jim Jones; episodi simili, pur con meno vittime, erano accaduti nel 1985 nelle Filippine e nel 1987 in Corea del Sud.
L’episodio di Cosenza, per l’Italia, fu un pugno nello stomaco. Il primo di una serie. Al punto da convincere il ministero dell’Interno a scandagliare il fenomeno. Un dettagliato rapporto fu pubblicato due anni prima del cambio di millennio (data fatidica per maghi e operatori dell’occulto): denunciava la presenza, nel nostro Paese, di 137 gruppi settari e di «sistemi scientificamente studiati per aggirare le difese psichiche delle persone, inducendole a un atteggiamento acritico e all’obbedienza cieca». In altre parole, alla «destrutturazione mentale degli adepti», condotti alla follia o alla rovina economica. Oggi, la Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha istituito un servizio antisette diretto da don Aldo Buonaiuto, stima che siano almeno 8 mila le associazioni italiane legate al satanismo, alla stregoneria o alla magia, o potenzialmente dedite allo sfruttamento e alla manipolazione della gente, per un numero di seguaci che oscilla fra i 600 mila e il milione. Per contrastare questo tsunami sotterraneo, nel dicembre 2006, il Servizio centrale della polizia ha dato vita a una speciale squadra antisette, formata da investigatori, analisti, criminologi e psicologi, e coordinata dal primo dirigente Luigi Carnevale.

Ma che cosa sono le sette? Darne una definizione non è semplice. «Nella maggior parte dei casi» spiega Buonaiuto «sono parodie di organizzazioni religiose, ma con obiettivi molto diversi da quelli di una religione tradizionale, e con un leader indiscusso dotato di grande carisma e ossessionato dai cerimoniali. Autoritari, dispotici, rapidi nel confondere le carte, questi movimenti possono nascere con fini ideologici apparentemente innocui (dal perseguimento della pace interiore all’adorazione di divinità esotiche), ma quasi sempre sfociano nell’abuso, nell’inganno, nella truffa, nel rifiuto delle leggi e del buon senso, nei maltrattamenti o nell’incitamento all’odio razziale». Un aspetto centrale delle sette (che possono contare dai dieci alle varie centinaia di iscritti) è che è facile entrarvi ma difficilissimo uscirne: sia per i ricatti a cui si è sottoposti e sia perché l’appartenenza a una setta tende a distruggere ogni legame familiare e sociale con l’esterno, immergendo i simpatizzanti in una realtà virtuale dove le uniche regole sono quelle dettate dal guru

Le sette sono una galassia sfuggente, fluida, in continua evoluzione e, per questo, non c’è una classificazione universalmente accettata. Gli esperti, in genere, le suddividono in tre categorie: le sette giovanili, le lobby settarie e le sette apocalittiche (per queste ultime, si veda il box). Le prime sono per lo più gruppi dediti al satanismo, alla stregoneria o alla magia nera. Vi si aderisce per trasgressione e il sesso e la droga ne sono componenti essenziali. Al loro interno si consumano i cerimoniali più macabri: dalla riesumazione e dalla scarnificazione di cadaveri (dati in pasto agli adepti per suggellare il patto di sangue) all’omicidio. Il caso delle Bestie di Satana, svelato a Varese nel 2004 dopo l’uccisione di Mariangela Pezzotta, o quello degli Angeli di Sodoma (che adescavano studenti invitandoli a concerti di musica rock e offrendo loro ostie imbevute di Lsd) sono due esempi. Molte sparizioni e suicidi inspiegabili sono legati proprio a realtà di questo tipo. In una lettera a don Aldo, un anonimo ha raccontato che nella piccola località dove vive, «14 ragazzi e 3 donne si sono impiccati in meno di due anni», umiliati e minacciati da una setta rimasta a lungo in clandestinità. «Ci sono madri» dice Buonaiuto «che, dopo il suicidio del figlio, rinvengono nella camera della vittima pubblicazioni, testi musicali o documenti riconducibili all’attività di una setta».

Più subdole, e senz’altro più numerose, sono le cosiddette lobby settarie. Collegate ai temi dello spiritualismo, delle arti orientali, dello sciamanesimo, sono strutture con una gerarchia piramidale, frequentate da impiegati, disoccupati, liberi professionisti, medici o insegnanti, con grandi giri d’affari. Alcune sono camuffate da associazioni «benefiche», regolarmente registrate, altre sono del tutto segrete. Secondo gli investigatori, sarebbero frequenti i contatti fra queste organizzazioni e il traffico di organi, la pedofilia o lo spaccio di sostanze stupefacenti. Di questa categoria fanno parte le psico-sette (fra le quali va annoverata la controversa e gigantesca setta fondata da Ron Hubbard, Scientology).

Per attrarre le loro «prede», le psico-sette usano i metodi più diversi: da accattivanti siti internet alla pubblicità tradizionale. Organizzano seminari di memorizzazione veloce, sedute di medicina alternativa, test per valutare e accrescere le potenzialità intellettive, riunioni di chiromanzia o ginnastica rilassante, congressi dedicati alla meditazione o all’auto-guarigione. Dopo un primo incontro, le persone sono invitate a proseguire il «viaggio», durante il quale il guru della setta proverà, con tecniche collaudate, a interpretare lo stato emotivo dei partecipanti. Per cadere nella trappola non serve avere un basso grado di istruzione o vivere in contesti degradati. «In una società fragile e insicura come la nostra» nota Buonaiuto «momenti di crisi affettive o economiche sono tutt’altro che occasionali». Uscire da un’esperienza luttuosa o vivere un momento di vulnerabilità o disagio, anche con due lauree in curriculum, può essere fatale. Dice la psicologa Lorita Tinelli, docente di criminologia all’università di Bari e presidente del Cesap (il Centro sudi sugli abusi psicologici): «Le psico-sette, sempre più radicate negli ultimi anni, offrono alle persone una reinterpretazione della loro vita, rimarcandone i bisogni. Chi ha un bisogno, chi percepisce un vuoto, non ha infatti la lucidità per fare una scelta libera e personale e così si affida al proprio interlocutore. La setta promette che, seguendo un determinato percorso, si potrà superare ogni ostacolo e la vittima, alla fine, delega tutto all’organizzazione. Senza il permesso del guru, non avrà più il coraggio e la forza di fare nulla. Neppure una visita medica o una cena con i genitori».

Una volta in gabbia, cominciano i guai. I seminari e i cerimoniali hanno costi sempre più elevati: ogni nuovo incontro ha la scopo di creare fobie verso i valori tradizionali e sensi di colpa nei confronti della setta, di sgretolare l’equilibrio mentale e l’autostima degli adepti e di persuaderli che senza l’aiuto e i consigli del guru non potranno più essere se stessi. Per pagare i corsi, o sostenere l’organizzazione, c’è gente che fa fuori fino all’ultimo risparmio, che vende la macchina e la casa. Ai seguaci più brillanti, per coprire i debiti, viene proposto di lavorare come adescatori di reclute. L’adepto opera un vero e proprio transfert psicologico: «Il leader della setta» aggiunge Buonaiuto «diventa il suo unico punto di riferimento. Per lui, è disposto a subire umiliazioni, persino a ridursi in schiavitù».

Le psico-sette hanno spesso un testimonial (un adepto ai livelli alti della piramide) che racconta come la propria esistenza sia cambiata in meglio dopo l’incontro con il gruppo. Il legame fra l’attore Tom Cruise e Scientology è emblematico. Al contempo, scatta la fase dell’isolamento: «Il capo della setta» dice Luigi Carnevale «spiega all’adepto che è la famiglia a precludergli la possibilità di realizzarsi ed è perciò la famiglia l’unica causa dei suoi guai. Gli fa capire, mentendo, di essere stato violentato quand’era bambino e lo riduce in uno stato di prostrazione totale. La vittima ha il cervello resettato, la volontà annullata. Odia i genitori. E reagisce aggrappandosi ancora più saldamente al gruppo, tagliando i ponti col passato». Per evitare iniziative personali, i seguaci vengono deresponsabilizzati, educati a un linguaggio criptico (cosa che scoraggia la comunicazione con l’esterno) e convinti di essere gli eletti di un disegno imperscrutabile e divino. In alcuni casi, conducono una doppia vita: lavorano di giorno e dedicano alla setta il resto del tempo; in altri, scompaiono del tutto, ritirandosi in associazioni slegate dal mondo. Damanhur è una comunità fondata nel 1975 dal filosofo e guaritore Oberto Airaudi (alias Falco), tutt’ora guida spirituale della setta. Costituita da una quarantina di villaggi ai piedi delle Alpi piemontesi, in Valchiusella, Damanhur ospita centinaia di persone. Sul sito dell’organizzazione si legge che le conoscenze di Falco derivano «dal collegamento che Damanhur ha creato con le forze divine cosmiche del nuovo millennio».

Ci sono sette, dice Tinelli, che incentivano la procreazione, ma sostengono che un figlio, nel momento in cui viene al mondo, è membro della comunità, la quale si sostituisce ai genitori nell’educazione, «come succede tra i Bambini di Dio o, appunto, nella comunità di Damanhur». E non mancano circostanze estreme: alcuni ex appartenenti alla setta del reverendo Jim Jones, sopravvissuti al massacro della Guyana, riportarono testimonianze agghiaccianti sull’educazione che lo stesso Jones riservava ai minori.

A differenza delle sette sataniche, dove gli adepti conoscono almeno in parte il destino e la realtà a cui vanno incontro, chi entra in una psico-setta non è mai consapevole di entrare in una setta. Cosa che, naturalmente, rende ancora più complicato uscirne. «Il processo» prosegue Tinelli «è simile a quello dell’innamoramento. Dopo tanti anni insieme, bastano una parola, un episodio, un incontro fortuito con un vecchio amico, un libro, un piccolo tradimento per far aprire gli occhi all’adepto e permettergli una visione critica dell’ambiente in cui è precipitato. L’americano Steven Hassan, studioso di sette, dice che il vero io della persona rimane occultato dall’io della setta. Ma che per farlo riemergere, è sufficiente sollecitarlo». Non è facile che capiti. Però capita.Prevedere la reazione della setta, a quel punto, è praticamente impossibile. La fuga può essere indolore. Ma se l’ex adepto decide di denunciare o rendere pubblici i metodi dell’organizzazione, apriti cielo. «Il quel caso» dice Carnevale «il rischio per il fuoriuscito è di essere aggredito, sul piano giudiziario, dalla setta e da seguaci opportunamente istruiti. Ci sono organizzazioni che dispongono di risorse e studi legali in tutte le città d’Italia». Uno degli ultimi episodi di cronaca riguarda l’associazione Arkeon. Sul sito del Cesap, qualche tempo fa, erano comparsi i messaggi di alcuni ex simpatizzanti che mettevano in guardia da «tecniche di condizionamento» e «pressioni psicologiche». Ai messaggi si sono interessate varie Procure italiane. Il gruppo Arkeon, ritenendo lesivi quegli avvertimenti, aveva chiesto l’oscuramento del sito del Cesap. Richiesta che è stata però respinta dal Tribunale di Bari. Arkeon si definisce, in Internet, come un «percorso individuale di crescita, consapevolezza e sviluppo del potere personale e della leadership».
Michele Scozzai


Dossier tratto da FOCUS - Febbraio 2007