domenica 8 ottobre 2017

“Ti faresti tagliare i capelli da un giardiniere?”


“Ti faresti tagliare i capelli da un giardiniere?”


ll reato di abuso della professione di psicologo si configura se il sedicente specialista promette che il suo intervento è in grado di “incidere sulla sfera psichica”, così stabilisce una recentissima sentenza della Cassazione penale depositata il 22 Agosto 2017, la n.39339, che ha condannato in via definitiva il fondatore del “percorso di crescita personale”dell’associazione Archeon e i suoi collaboratori. L'ideatore di quella che molti hanno definito una “psico-setta” Vito Carlo Moccia, insieme ai suoi collaboratori, organizzava seminari formativi su un metodo (Archeon, appunto) ed effettuava attività di “diagnosi e psicoterapia” a soggetti con problematiche psicologiche e psichiatriche, nonché mediche.
In sostanza, utilizzando le informazioni che i pazienti davano sulle loro vite private, i “maestri” dell’associazione insinuavano terribili sospetti sul loro passato, allontanandoli dagli affetti familiari, facendo quindi “terra bruciata” intorno ai malcapitati.
La dott.ssa Lorita Tinelli, psicologa,che si occupa da anni di casi sui culti distruttivi, ha seguito la causa penale che alla fine ha dato piena ragione agli psicologi.
Il ricorso su cui si sono pronunciati i giudici riguardava diversi aspetti, fra cui uno relativo al risarcimento chiesto dall’Ordine degli Psicologi della Puglia che si era costituito parte civile nella causa. Vi erano poi alcune questioni riguardanti i termini di prescrizione, e una molto importante in merito all’esercizio abusivo della professione di psicologo.
Un motivo del ricorso, infatti, si fondava che il “guru” dell’associazioneMoccia Vito Carlo, non si sarebbe mai spacciato per psicologo, ma avrebbe utilizzato un metodo “non psicologico” (n.d.r.) per “trattare” i pazienti, cioè il metodo Archeon (o Arkeon), una variante del metodo Reiki (una pratica spirituale di pseudo-guarigioni basate sull’imposizione delle mani sul paziente).
 La Cassazione, però, ha rigettato anche questo motivo, sostenendo che:” non è necessario che il soggetto non qualificato si avvalga delle metodologie proprie della professione psicoterapeutica, ma è sufficiente che la sua azione incida sulla sfera psichica del paziente con lo scopo di indurne una modificazione che potrebbe risultare dannosa”.
Si tratta dell’ennesima vittoria giuridica per la tutela della professione, infatti la Legge si è espressa anche sul fatto che un abusivo non può difendersi dicendo che non faceva diagnosi (la Cassazione ha sottolineato anche che intrattenere approfonditi colloqui “su aspetti intimi della vita dei pazienti, per diagnosticare problematiche psicologiche eventualmente all’origine di disturbi da loro lamentati” è già attività di diagnosi psicologica).
Inoltre non può nemmeno affermare di non commettere abuso poiché non utilizza “tecniche psicologiche”, se il fine dell’attività prestata è quello di modificare la sfera psichica del soggetto.

Solitamente di fronte all’accusa di esercizio abusivo della professione di psicologo le risposte più frequenti sono: “non sono uno psicologo, sono un counselor” oppure “sono un operatore olistico che utilizza la tecnica..." e qui si apre un universo infinito che va dalla coccoloterapia alle pratiche scopiazzate dalle varie discipline orientali fino ad arrivare al coaching e chi più ne ha più ne metta.

La Cassazione, nel condannare Vito Carlo Moccia come guru del metodo Archeon con la sentenza 39339 del 2017 ha fatto chiarezza su un aspetto particolarmente rilevante che sarà utile nella definizione dei futuri procedimenti per esercizio abusivo della professione di psicologo.
Il punto non è quale tecnica decida di utilizzare l’abusivo, che non essendo psicologo non è affatto tenuto a conoscerne teoria e tecniche psicologiche.
 La ragione stessa per cui esiste un reato di esercizio abusivo della professione di psicologo e di psicoterapeuta è del resto evitare quella particolare e insidiosa forma di “truffa” che induce il paziente, direttamente o indirettamente a credere che l’abusivo possa fare qualcosa di buono per migliorare il proprio stato psichico.
Sentenze importanti come la 14408 del 2011 ci hanno già detto che perfino il semplice colloquio può rappresentare una “tecnica” se ha una specifica finalità (si parla di finalità teleologica, ovvero di orientamento di un azione a uno specifico fine). Oggi la sentenza 39339 ci dice di più: 
“non è necessario” -recita la sentenza- “che il soggetto non qualificato si avvalga di una delle metodologie proprie della professione psicoterapeutica, ma è sufficiente che la sua azione incida sulla sfera psichica del paziente con lo scopo di indurre una modificazione, che potrebbe risultare dannosa”.
È, questo, un passaggio nuovo in giurisprudenza e decisamente fondamentale!

Non tanto perché nel caso specifico del Sig. Moccia il tema riguardasse la promessa implicita di operare una valutazione e diagnosi e, attraverso questa, di incidere sulla psiche del paziente attraverso un processo di cura, quanto proprio perché propone in un certo senso una rivoluzione copernicana: al centro del reato di esercizio abusivo di professione psicologica non c’è la tecnica, ma il paziente.
Se “prometti” di fare qualcosa che induca un cambiamento positivo nello stato psichico di una persona-paziente l’esercizio abusivo di professione psicologica è già un dato di fatto.
Un’altra e precedente sentenza affermava che in caso di lucro, cioè se si chiede un corrispettivo è una dimostrazione sufficiente che si è effettualo un atto caratteristico di quella professione, quindi se c’è passaggio di soldi, l’esercizio abusivo è facilmente dimostrabile.
La conseguenza di questa sentenza è radicale. Se l’ideatore di una fantomatica setta induce delle persone a credere di poter ricevere un beneficio rispetto al proprio stato psichico utilizzando strumenti e tecniche di origine varia ed eventuale, non ha alcuna importanza l’origine di queste tecniche, se il guru sia colto o ignorante di psicologia, e che cosa realmente egli offra ai suoi sofferenti “discepoli”: ciò che conta è solo ed esclusivamente il fatto che gli prometta più o meno esplicitamente di regalare ad essi un beneficio sul piano psicologico.
È importante perché sono moltissimi i soggetti, dei pranoterapeuti ai counselor passando per i pedagogisti clinici e i filosofi pratici a improvvisare “valutazioni” dello stato psicologico dei propri pazienti e poi promettendo benessere quando non vere e proprie presunte “cure”.
Già nel corso degli scorsi anni la suprema corte aveva chiarito alcuni punti essenziali, tra i quali il fatto che fosse sufficiente un unico atto di esercizio abusivo della professione perché si potesse configurare il reato ex art 348 c.p., il fatto che non sia necessario un pagamento per configurare l’esercizio abusivo di professione ma anche che quando tale pagamento c’è diventa facile dimostrare l’esercizio di abusivismo della professione di psicologo.
Pertanto, questa sentenza pone un ulteriore importantissimo tassello sul piano della tutela della professione di psicologo, infatti chiarisce la centralità delle convinzioni del paziente di fronte alla natura truffaldina di chi millanta una competenza professionale, che non può utilizzare con il paziente senza un’adeguata formazione specialistica. Vale la pena ricordare che per diventare psicologi abilitati occorre conseguire una laurea magistrale in Psicologia che ha una durata quinquennale, affrontare il Tirocinio post-lauream della durata di un anno e successivamente  superarel’esame di Stato che consente l’iscrizione all’Ordine professionale degli Psicologi, inoltre a tale percorso di formazione ha la durata di si aggiungono altri quattro anni qualora lo psicologo decida di specializzarsi in Psicoterapia.
Va inoltre evidenziato che durante il percorso quadriennale di specializzazione, lo specializzando deve affrontare un secondo tirocinio e un percorso di psicoterapia personale certificato della durata di minina due anni.
Ancora oggi il reato di esercizio abusivo di professione psicologica è e rimane uno tra i più difficili da perseguire ma non per ragioni tecniche o per l’ambiguità della nostra professione, ma solo per la reticenza a denunciare di chi si è rivolto ad un falso psicologo, mettendo in risalto quella che rischia di apparire una leggerezza o una fragilità personale.
 Per porre rimedio a questo fenomeno l’Ordine degli Psicologi ha istituito uno Sportello antiabusivismo e diffuso un vademecum con le informazioni necessarie per comprendere se si è vittime di un abusivo.
I consulenti legali dell’Ordine e i componenti della Commissione Tutela forniranno ogni chiarimento utile a verificare ogni specifica situazione e consiglieranno le eventuali azioni legali da intraprendere.
Il numero di telefono è 06 3600 2758, attivo ogni lunedì e mercoledì dalle 10:00 alle 13:00.

Inoltre l’Ordine degli Psicolgi del Lazio ha redatto un breve eBook gratuito nel quale:
  • si definiscono le competenze proprie dello psicologo e i requisiti formativi e legali che legittimano l’esercizio della professione;
  • si suggeriscono alcune domande utili a valutare la correttezza della prestazione ricevuta;
  • si descrivono le modalità per segnalare all’Ordine e all’Autorità Giudiziaria un caso di presunto esercizio abusivo della professione
Per verificare se uno psicologo è iscritto all’Ordine degli Psicologi puoi consultare questa https://areariservata.psy.it/cgi-bin/areariservata/albo_nazionale.cgi