Le vittime subiscono la distruzione della loro famiglia e la dissoluzione dei loro patrimoni, oltre alla destrutturazione della personalità; appena l'1,2% trova il coraggio di denunciare di Laura Badaracchi
«Ci stiamo attivando per aprire una struttura di prima accoglienza destinata ad accogliere vittime delle sette: ce lo chiedono i familiari». Lo ha annunciato don Alessandro Olivieri Pennesi, da quattro anni responsabile del Settore Sette e nuovi culti presso l'Ufficio diocesano per l'ecumenismo, il dialogo interreligioso e i nuovi culti, durante il convegno “L’esperienza religiosa dell’umanità tra libertà e manipolazione”, svoltosi ieri (16 febbraio 2011) alla Pontificia Università Lateranense per iniziativa dello stesso Settore del Vicariato insieme all'associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e all'Istituto superiore di Scienze religiose “”.
«In Europa, oltre alla diffusa scristianizzazione», si fa strada la presenza di «tradizioni che si rifanno a esoterismo e occultismo del XIX secolo, sotto l'ombrello della “New age”», ha aggiunto don Olivieri Pennesi, affermando che i nuovi culti rappresentano una «sfida culturale e pastorale». Per affrontarla, occorre un'attenzione particolare «con le organizzazioni, perché a volte il loro avvicinamento alla Chiesa è strumentale, ovvero finalizzato all'approvazione ecclesiale». Bisogna prendere atto che esiste un «vitalismo di nuove religioni e nuovi dèi: proposte ambigue, illusioni con esiti pericolosi e a volte mortali», ha commentato Carlo Di Cicco, vicedirettore dell'Osservatore Romano.
Secondo Maurizio Alessandrini, presidente dell'associazione Favis (Familiari vittime delle sette), si tratta di un'autentica «piaga sociale diffusa in Italia da 25 anni a questa parte». Toccato personalmente dal problema in famiglia undici anni fa, ha precisato: «Non si entra in una setta, vi si è attirati: c'è una grande capacità di dissimulazione tra i guru, che conoscono bene le tecniche per abbassare la difesa psicologica e penetrare nella psiche della persona. Alcuni influiscono anche sul metabolismo, ad esempio con la privazione del cibo e del sonno, destabilizzando l'individuo fisicamente e indebolendone la mente attraverso tecniche di condizionamento». Dai falsi maestri vengono somministrati anche farmaci, perseguendo un obiettivo preciso: «La dedizione totale dei discepoli, fino a farli rinunciare a se stessi e a recidere ogni legame. Il plagio non è ancora un reato per legge, ma è un delitto contro la salute psichica delle persone che come cittadini non possiamo accettare».I danni, infatti, sono gravissimi sia a livello mentale che economico e sociale: spesso le vittime subiscono la distruzione della loro famiglia e la dissoluzione dei loro patrimoni, oltre alla destrutturazione della personalità; appena l'1,2% trova il coraggio di denunciare il capo della setta; la maggioranza si vergogna e preferisce tacere, vuole solo dimenticare. Lo ha confermato Enrico De Simone, criminologo clinico e vicario della Questura di Ascoli Piceno, che ha lamentato «l'assenza di mentalità riguardo a questo problema da parte delle Forze dell'Ordine e degli organi giudiziari. Purtroppo è oscuro il numero dei reati e delle vittime, nel dettaglio: lo sappiamo solo in grandi linee», anche perché le sette registrano un «grande dinamismo: si aggregano, si scompongono, si perfezionano». Purtroppo «dimostrare un'associazione a delinquere è difficile – ha osservato –: penetrarle è difficile perché si tratta di gruppi chiusi; ci si dovrebbe infiltrare all'interno per capire i ruoli. Perché non esistono collaboratori di giustizia di sette sataniche e psicosette».
«La vulnerabilità della potenziale vittima sta nell'isolamento», ha ricordato Aureliano Pacciolla, psicologo clinico, perito del tribunale penale e docente di psicologia della personalità alla Lumsa. A suo avviso, è necessaria una collaborazione in rete di psicologi, sacerdoti, forze dell'Ordine, giudici e magistrati, assistenti sociali ed educatori. «Senza collaborazione i successi sono molto ridotti: bisogna formarsi all'interdisciplinarietà», ha concluso. Senza dimenticare – ha osservato Adolfo Morganti, psicoterapeuta e consigliere nazionale del Gris – che «la libertà religiosa non è libertà di inventarsi qualsiasi cosa e metterci l'etichetta».
17 febbraio 2011