Dice la Trocchi:
Nei movimenti del potenziale umano il contributo della psicologia umanistica o dell'autorealizzazioneè determinante. Per psicologia umanistica si intende non tanto una particolare scuola quanto una mentalità o un 'modo di sentire' nei riguardi dell'essere umano. Pur nelle differenti posizioni teoriche e ideologiche, si può ritrovare nella psicologia umanistica un tema comune: l'accento posto sulla positività della natura umana e l'importanza data a grandi mete che sono riservate a chi sviluppa il proprio potenziale. All'interno di questo tema comune si possono comunque distinguere due versioni: la prima riguarda l'attualizzazione, cioè la tendenza ad esprimere meglio le capacità e le potenzialità che l'individuo già possiede e che la frustrante società occidentale ha messo tra parentesi. L'altra versione è quella della perfezione, in cui l'accento è posto sulla tendenza a lottare e a combattere per realizzare ciò che può rendere la vita armonica, eccellente, completa. È chiaro che le due tendenze spesso si incrociano e si fondono. Resta il fatto che la psicologia umanistica identifica nel proprio sé il fulcro di ogni devozione e di ogni culto. Ad esempio H. Bloom identifica l'intera religione americana come adorazione del proprio sé magico e occulto, ciò che gli gnostici chiamavano "spinther" (= scintilla) [cfr. H. bloom, La Religione americana, Garzanti, Milano 1994,p.54]. Le esperienze personali e l'interiorità sono il valore sommo e l'oggetto di tutte le proprie attenzioni".
Su quali "piani" dicono di poter incidere e quali "poteri" promettono? Dice la Trocchi:
"1) Su un piano fisico si propaganda una maggiore efficenza corporea basata su tecniche ginniche e respiratorie, affiancate da un nuovo regime alimentare.
2) Su un piano emozionale si assicura un miglioramento nella sfera della socialità, un aumento della comunicazione interpersonale, maggiori capacità di ascolto dell'altro, un'empatia spesso di tipo emotivo e sessuale.
3) Sul piano mentale si assicura un grandioso sviluppo della memoria e delle capacità di concentrazione, un aumento del quoziente di intelligenza, un controllo del pensiero che, se negativo, è ritenuto origine e causa di tutte le malattie psicosomatiche. Si afferma anche di insegnare a privilegiare la mente intuitiva e creativa piuttosto che la razionalità.
4) Sul piano spirituale si assicura uno sviluppo e un ampliamento della coscienza, una autorealizzazione e consapevolezza profonda per cui l'adepto viene stimolato a compiere esperienze particolari quali i famosi viaggi astrali già propagandati dalla teosofia, il channelling o altre esperienze paranormali. Spiccata è, quindi, in questi gruppi la dimensione magica, che si appoggia a uno sfondo esoterico con meccanismi di trasmissione attraverso precisi corsi di iniziazione in cui l'adepto viene a conoscenza di verità segrete Esiste, infatti, la proibizione di parlare di ciò che avviene in questi corsi,
così come era presente l'antico divieto di divulgare le segrete cose dei misteri eleusini. L'obbiettivo reclamizzato da questi gruppi è l'affrancamento dell'individuo dai condizionamenti sociali e culturali, dalle paure, dalle esperienze negative. Sommessamente viene anche insinuata la speranza di raggiungere potenzialità più particolari come la chiaroveggenza, la trasmissione e la lettura del pensiero, la preveggenza e lo sviluppo di capacità miracolose".
Continua
venerdì 28 agosto 2009
Secondo il giornalista Luciano Scalettari, le psicosette:
"Mescolano psicanalisi, religione, scienza e pratiche iniziatiche. E spesso si mascherano da scuole di formazione o addirittura da corsi per manager.
Le sètte "di tendenza", ossia quelle che negli ultimi anni hanno ottenuto le maggiori adesioni, sono certamente quelle legate al variegato mondo della New Age (Nuova Era). L’antropologa Cecilia Gatto Trocchi, nel suo recente libro Nomadi spirituali (Mondadori), definisce il movimento «in espansione, complesso e articolato», la proposta esistenziale di un «sincretismo davvero stupefacente tra filosofie orientali, psicologia del profondo, visione magica del mondo, ufologia e religioni primitive»..
Le sètte che, invece, allarmano di più il ministero dell’Interno sono quelle per lo sviluppo mentale, o psicosette, non per ragioni di crescita numerica degli aderenti (c’è, ma è contenuta), quanto piuttosto per la potenziale pericolosità sociale. Secondo il rapporto «queste sètte sono ritenute le più pericolose e capaci di operare una "destrutturazione mentale" negli adepti, conducendoli spesso alla follia e alla rovina economica; per cui sono spesso definite anche "culti distruttivi"».
Il censimento del rapporto cita una serie di gruppi: oltre alla [omissis], ci sono Life discover principles, Silva mind control, Fellowship of friends, Il Centro (Evo Cris), Centro italiano di psicologia e di ipnosi applicata, [omissis], Centro sipcasdia, Cultural and spiritual association (Casa), Associazione di ontopsicologia, Harmony body mind, Ergoniani. Le psicosètte «rappresentano una novità tutta occidentale», prosegue il rapporto, presentando una mescolanza di intuizioni psicanalitiche, precetti morali, metodi pseudoscientifici, pratiche iniziatiche e liturgiche «che prescindono, nella maggior parte dei casi, dalla credenza in un Essere supremo e da speculazioni escatologiche»
Ciò che accomuna queste sètte è la pretesa di sviluppare appieno le potenzialità mentali e psicologiche dell’uomo attraverso la liberazione di condizionamenti mentali, malattie e infelicità. Il guaio è che spesso si mascherano sotto forma di centri psicoterapeutici, istituti di ricerca e scuole di formazione, o addirittura corsi per manager o per lo sviluppo della memoria. Il rapporto del Viminale osserva che spesso «è richiesta la frequentazione di appositi "corsi" a pagamento (piuttosto onerosi) o addirittura la devoluzione di tutti i propri beni al gruppo e un impegno a tempo pieno nelle attività dell’organizzazione»".
Continua...
Le sètte "di tendenza", ossia quelle che negli ultimi anni hanno ottenuto le maggiori adesioni, sono certamente quelle legate al variegato mondo della New Age (Nuova Era). L’antropologa Cecilia Gatto Trocchi, nel suo recente libro Nomadi spirituali (Mondadori), definisce il movimento «in espansione, complesso e articolato», la proposta esistenziale di un «sincretismo davvero stupefacente tra filosofie orientali, psicologia del profondo, visione magica del mondo, ufologia e religioni primitive»..
Le sètte che, invece, allarmano di più il ministero dell’Interno sono quelle per lo sviluppo mentale, o psicosette, non per ragioni di crescita numerica degli aderenti (c’è, ma è contenuta), quanto piuttosto per la potenziale pericolosità sociale. Secondo il rapporto «queste sètte sono ritenute le più pericolose e capaci di operare una "destrutturazione mentale" negli adepti, conducendoli spesso alla follia e alla rovina economica; per cui sono spesso definite anche "culti distruttivi"».
Il censimento del rapporto cita una serie di gruppi: oltre alla [omissis], ci sono Life discover principles, Silva mind control, Fellowship of friends, Il Centro (Evo Cris), Centro italiano di psicologia e di ipnosi applicata, [omissis], Centro sipcasdia, Cultural and spiritual association (Casa), Associazione di ontopsicologia, Harmony body mind, Ergoniani. Le psicosètte «rappresentano una novità tutta occidentale», prosegue il rapporto, presentando una mescolanza di intuizioni psicanalitiche, precetti morali, metodi pseudoscientifici, pratiche iniziatiche e liturgiche «che prescindono, nella maggior parte dei casi, dalla credenza in un Essere supremo e da speculazioni escatologiche»
Ciò che accomuna queste sètte è la pretesa di sviluppare appieno le potenzialità mentali e psicologiche dell’uomo attraverso la liberazione di condizionamenti mentali, malattie e infelicità. Il guaio è che spesso si mascherano sotto forma di centri psicoterapeutici, istituti di ricerca e scuole di formazione, o addirittura corsi per manager o per lo sviluppo della memoria. Il rapporto del Viminale osserva che spesso «è richiesta la frequentazione di appositi "corsi" a pagamento (piuttosto onerosi) o addirittura la devoluzione di tutti i propri beni al gruppo e un impegno a tempo pieno nelle attività dell’organizzazione»".
Continua...
Le psicosette: gruppi "socialmente pericolosi"
L'antropologa Trocchi descrive le idee di base sulle quali si articola un "gruppo del potenziale umano":
"L'idea del "cervello inesplorato", capace di prestazioni eccezionali, è alla base di un vasto gruppo di movimenti che si rifanno al cosiddetto incremento del potenziale umano ovvero dello sviluppo personale. È una congerie di aggregazioni o di singoli operatori che sviluppano idee e posizioni teoriche variamente articolate e spesso assai differenti. La frammentarietà e la eterogeneità di questi gruppi porta a definire, piuttosto che la loro struttura, la loro 'mentalità', che consiste in un nuovo modo di intendere e di pensare l'essere umano, il cosmo, i rapporti interpersonali, la salute e la malattia. Inoltre, sulle teorie dei cosiddetti gruppi del potenziale umano si è sovrapposta la nuova ideologia 'spiritualistica' della NewAge. Tali movimenti si presentano sotto forme diverse: centri di psicoterapie, associazioni culturali, gruppi orientalisti che volgarizzano tecniche yoga e addirittura scuole per manager. Tali movimenti già attivi fin dagli anni sessanta vengono dagli Stati Uniti. Se si vogliono esaminare le varie strutture di questi gruppi salta agli occhi uno strano dosaggio di elementi di training autogeno, yoga, buddhismo Zen, varie forme di psicoterapia, nuovi dettami di dietologia o di alimentazione integrata, forme di ginnastica o di concentrazione, meditazione, medicina tradizionale e non ufficiale, ecc.Tali gruppi si fanno propaganda proponendo corsi (tutti a pagamento) volti a potenziare le proprie capacità, ovvero a risolvere vari problemi di malessere. Ogni movimento presenta una congerie di tecniche e di idee che intervengono su vari piani dell'essere".
Afferma nel suo sito la Polizia Municipale di Torino:
"Premesso che la maggior parte delle sette non persegue obiettivi criminosi è indubbio che alcune di esse, principalmente le "psicosette" religiose ed alcune sette del genere "satanico", svolgano una notevole attività delittuosa capace di suscitare preoccupazione nell'opinione pubblica. Le psicosette, di norma, si contraddistinguono per via della classica struttura truffaldina costruita ad arte dai vertici al fine di ottenere l'espoliazione totale degli adepti..il rischio concreto dell'appartenere a una setta distruttiva consiste nel subire l'attività criminosa che si svolge all'interno della medesima (truffe, minacce, estorsioni, sequestri di persona, violenze, sfruttamento) inoltre tali organizzazioni applicano metodicamente agli appartenenti tecniche scientifiche di lavaggio del cervello che ne rendono difficile l'eventuale recupero psichico e sociale... Le psicosette sono quelle organizzazioni su cui maggiormente si concentra l'attività giudiziaria in quanto capaci di sviluppare una notevole attività delittuosa. Tali organizzazioni di norma sono gestite e dirette da uno o più soggetti, il più delle volte con trascorsi giudiziari da truffatori e/o ciarlatani, i quali, mossi da bramosia di potere e dall'ottenimento di beni materiali, non esitano a compiere una "completa destrutturazione mentale negli adepti, conducendoli spesso alla follia e/o alla rovina economica"infatti in tali strutture "nella fase di proselitismo e in quella di indottrinamento si usano sistemi scientifici studiati per aggirare le difese psichiche delle persone irretite, inducendole ad atteggiamenti acritici e obbedienza cieca"(fonte: Rapporto Dipartimento Pubblica Sicurezza - febbraio 1998)
Recenti studi sociologici hanno standardizzato la strategia della "psico-setta". Il contatto con il "reclutatore" avviene di norma nelle occasioni nelle quali il soggetto, in fase critica, intraprende percorsi alternativi per risollevarsi: lezioni di fitness, di yoga, di training autogeno o corsi di rilassamento o di meditazione
Egli fornisce alla vittima ciò che manca: attenzione, affetto, amicizia e dialogo. Una volta ottenuta piena fiducia il reclutatore viene gradualmente sostituito dall'organizzazione la quale inizia l'assimilazione del neo adepto attraverso tecniche di "brain-washing" articolate in più fasi".
"L'idea del "cervello inesplorato", capace di prestazioni eccezionali, è alla base di un vasto gruppo di movimenti che si rifanno al cosiddetto incremento del potenziale umano ovvero dello sviluppo personale. È una congerie di aggregazioni o di singoli operatori che sviluppano idee e posizioni teoriche variamente articolate e spesso assai differenti. La frammentarietà e la eterogeneità di questi gruppi porta a definire, piuttosto che la loro struttura, la loro 'mentalità', che consiste in un nuovo modo di intendere e di pensare l'essere umano, il cosmo, i rapporti interpersonali, la salute e la malattia. Inoltre, sulle teorie dei cosiddetti gruppi del potenziale umano si è sovrapposta la nuova ideologia 'spiritualistica' della NewAge. Tali movimenti si presentano sotto forme diverse: centri di psicoterapie, associazioni culturali, gruppi orientalisti che volgarizzano tecniche yoga e addirittura scuole per manager. Tali movimenti già attivi fin dagli anni sessanta vengono dagli Stati Uniti. Se si vogliono esaminare le varie strutture di questi gruppi salta agli occhi uno strano dosaggio di elementi di training autogeno, yoga, buddhismo Zen, varie forme di psicoterapia, nuovi dettami di dietologia o di alimentazione integrata, forme di ginnastica o di concentrazione, meditazione, medicina tradizionale e non ufficiale, ecc.Tali gruppi si fanno propaganda proponendo corsi (tutti a pagamento) volti a potenziare le proprie capacità, ovvero a risolvere vari problemi di malessere. Ogni movimento presenta una congerie di tecniche e di idee che intervengono su vari piani dell'essere".
Afferma nel suo sito la Polizia Municipale di Torino:
"Premesso che la maggior parte delle sette non persegue obiettivi criminosi è indubbio che alcune di esse, principalmente le "psicosette" religiose ed alcune sette del genere "satanico", svolgano una notevole attività delittuosa capace di suscitare preoccupazione nell'opinione pubblica. Le psicosette, di norma, si contraddistinguono per via della classica struttura truffaldina costruita ad arte dai vertici al fine di ottenere l'espoliazione totale degli adepti..il rischio concreto dell'appartenere a una setta distruttiva consiste nel subire l'attività criminosa che si svolge all'interno della medesima (truffe, minacce, estorsioni, sequestri di persona, violenze, sfruttamento) inoltre tali organizzazioni applicano metodicamente agli appartenenti tecniche scientifiche di lavaggio del cervello che ne rendono difficile l'eventuale recupero psichico e sociale... Le psicosette sono quelle organizzazioni su cui maggiormente si concentra l'attività giudiziaria in quanto capaci di sviluppare una notevole attività delittuosa. Tali organizzazioni di norma sono gestite e dirette da uno o più soggetti, il più delle volte con trascorsi giudiziari da truffatori e/o ciarlatani, i quali, mossi da bramosia di potere e dall'ottenimento di beni materiali, non esitano a compiere una "completa destrutturazione mentale negli adepti, conducendoli spesso alla follia e/o alla rovina economica"infatti in tali strutture "nella fase di proselitismo e in quella di indottrinamento si usano sistemi scientifici studiati per aggirare le difese psichiche delle persone irretite, inducendole ad atteggiamenti acritici e obbedienza cieca"(fonte: Rapporto Dipartimento Pubblica Sicurezza - febbraio 1998)
Recenti studi sociologici hanno standardizzato la strategia della "psico-setta". Il contatto con il "reclutatore" avviene di norma nelle occasioni nelle quali il soggetto, in fase critica, intraprende percorsi alternativi per risollevarsi: lezioni di fitness, di yoga, di training autogeno o corsi di rilassamento o di meditazione
Egli fornisce alla vittima ciò che manca: attenzione, affetto, amicizia e dialogo. Una volta ottenuta piena fiducia il reclutatore viene gradualmente sostituito dall'organizzazione la quale inizia l'assimilazione del neo adepto attraverso tecniche di "brain-washing" articolate in più fasi".
Vescovi USA: la terapia Reiki non è cristiana
Denunciano il suo utilizzo in istituti cattolici
WASHINGTON, lunedì, 20 aprile 2009 (ZENIT.org).- Il Reiki, medicina alternativa giapponese, manca di credibilità scientifica ed è estranea alla fede cristiana, e per questo motivo è inaccettabile per le istituzioni sanitarie cattoliche, indica la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti.
Il 29 marzo, la Conferenza ha pubblicato le "Direttrici per la valutazione del Reiki come Terapia Alternativa", svolte dal suo comitato dottrinale, presieduto dal Vescovo di Bridgeport (Connecticut), monsignor William Lori, e approvate dal comitato amministrativo il 28 marzo.
Il documento osserva che "la Chiesa riconosce due classi di cure: la cura mediante la grazia divina e la cura che utilizza i poteri della natura", che "non si escludono a vicenda".
Il Reiki, ad ogni modo, "non trova sostegno né nelle scoperte della scienza naturale né nella fede cristiana", osserva.
Le Direttrici indicano che questa tecnica di cura "è stata inventata in Giappone alla fine dell'Ottocento da Mikao Usui, che studiava i testi buddisti".
"Secondo gli insegnamenti del Reiki, la malattia è provocata da qualche tipo di disfunzione o squilibrio nell''energia vitale' di una persona. Un medico Reiki cura collocando le mani in certe posizioni sul corpo del paziente per facilitare il flusso del Reiki, l''energia vitale universale', dal medico Reiki al paziente".
Cura spirituale
La terapia, spiega il testo, ha alcuni aspetti religiosi, venendo "descritta come un tipo di cura 'spirituale'", con i propri precetti etici o "forma di vita".
Il Reiki "non è stato accettato dalle comunità scientifica e medica come una terapia efficace", osservano le Direttrici. "Seri studi scientifici testimoniano che il Reiki manca di efficacia, così come di una spiegazione scientifica plausibile su come potrebbe essere efficace".
Neanche la fede può essere la base di questa terapia, sostengono i Vescovi, visto che il Reiki è diverso dalla "cura divina conosciuta dai cristiani".
Per i presuli, "la differenza radicale si può vedere in modo immediato nel fatto che il potere di guarigione del medico Reiki è a disposizione dell'essere umano". Per i cristiani, rilevano, "l'accesso alla cura divina si compie attraverso la preghiera a Cristo come Signore e Salvatore", mentre il Reiki è una tecnica che si trasmette da "maestro" ad allievo, un metodo che "a quanto pare produrrà i risultati previsti".
Problemi insolubili
"Per un cattolico credere nella terapia Reiki presenta problemi insolubili - dichiarano le Direttrici -. In termini di cura della salute fisica propria o altrui, impiegare una tecnica che manca di sostegno scientifico - e anche di verosimiglianza - è in generale imprudente".
A livello spirituale, il documento indica che "esistono pericoli importanti". "Per usare il Reiki bisognerebbe accettare, almeno in modo implicito, elementi centrali della visione del mondo che sta dietro alla terapia Reiki, elementi che non appartengono né alla fede cristiana né alla scienza naturale".
"Senza giustificazione né della fede cristiana né della scienza naturale, quindi, un cattolico che riponga la sua fiducia nel Reiki starebbe agendo nell'ambito della superstizione, quella terra di nessuno che non è né fede né scienza".
"La superstizione corrompe il culto a Dio portando in una falsa direzione i sentimenti e la pratica religiosa. Anche se a volte la gente cade nella superstizione per ignoranza, è responsabilità di tutti coloro che insegnano in nome della Chiesa eliminare questa ignoranza nel modo che sia a loro possibile".
"Visto che la terapia Reiki non è compatibile né con l'insegnamento cristiano né con le prove scientifiche, non sarebbe appropriato che istituzioni cattoliche, come istituti sanitari e centri di ritiri, o persone che rappresentano la Chiesa, come i cappellani cattolici, promuovano o forniscano la terapia Reiki", termina il documento.
Per ulteriori informazioni sulle Direttrici, http://www.usccb.org/dpp/doctrine.htm
WASHINGTON, lunedì, 20 aprile 2009 (ZENIT.org).- Il Reiki, medicina alternativa giapponese, manca di credibilità scientifica ed è estranea alla fede cristiana, e per questo motivo è inaccettabile per le istituzioni sanitarie cattoliche, indica la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti.
Il 29 marzo, la Conferenza ha pubblicato le "Direttrici per la valutazione del Reiki come Terapia Alternativa", svolte dal suo comitato dottrinale, presieduto dal Vescovo di Bridgeport (Connecticut), monsignor William Lori, e approvate dal comitato amministrativo il 28 marzo.
Il documento osserva che "la Chiesa riconosce due classi di cure: la cura mediante la grazia divina e la cura che utilizza i poteri della natura", che "non si escludono a vicenda".
Il Reiki, ad ogni modo, "non trova sostegno né nelle scoperte della scienza naturale né nella fede cristiana", osserva.
Le Direttrici indicano che questa tecnica di cura "è stata inventata in Giappone alla fine dell'Ottocento da Mikao Usui, che studiava i testi buddisti".
"Secondo gli insegnamenti del Reiki, la malattia è provocata da qualche tipo di disfunzione o squilibrio nell''energia vitale' di una persona. Un medico Reiki cura collocando le mani in certe posizioni sul corpo del paziente per facilitare il flusso del Reiki, l''energia vitale universale', dal medico Reiki al paziente".
Cura spirituale
La terapia, spiega il testo, ha alcuni aspetti religiosi, venendo "descritta come un tipo di cura 'spirituale'", con i propri precetti etici o "forma di vita".
Il Reiki "non è stato accettato dalle comunità scientifica e medica come una terapia efficace", osservano le Direttrici. "Seri studi scientifici testimoniano che il Reiki manca di efficacia, così come di una spiegazione scientifica plausibile su come potrebbe essere efficace".
Neanche la fede può essere la base di questa terapia, sostengono i Vescovi, visto che il Reiki è diverso dalla "cura divina conosciuta dai cristiani".
Per i presuli, "la differenza radicale si può vedere in modo immediato nel fatto che il potere di guarigione del medico Reiki è a disposizione dell'essere umano". Per i cristiani, rilevano, "l'accesso alla cura divina si compie attraverso la preghiera a Cristo come Signore e Salvatore", mentre il Reiki è una tecnica che si trasmette da "maestro" ad allievo, un metodo che "a quanto pare produrrà i risultati previsti".
Problemi insolubili
"Per un cattolico credere nella terapia Reiki presenta problemi insolubili - dichiarano le Direttrici -. In termini di cura della salute fisica propria o altrui, impiegare una tecnica che manca di sostegno scientifico - e anche di verosimiglianza - è in generale imprudente".
A livello spirituale, il documento indica che "esistono pericoli importanti". "Per usare il Reiki bisognerebbe accettare, almeno in modo implicito, elementi centrali della visione del mondo che sta dietro alla terapia Reiki, elementi che non appartengono né alla fede cristiana né alla scienza naturale".
"Senza giustificazione né della fede cristiana né della scienza naturale, quindi, un cattolico che riponga la sua fiducia nel Reiki starebbe agendo nell'ambito della superstizione, quella terra di nessuno che non è né fede né scienza".
"La superstizione corrompe il culto a Dio portando in una falsa direzione i sentimenti e la pratica religiosa. Anche se a volte la gente cade nella superstizione per ignoranza, è responsabilità di tutti coloro che insegnano in nome della Chiesa eliminare questa ignoranza nel modo che sia a loro possibile".
"Visto che la terapia Reiki non è compatibile né con l'insegnamento cristiano né con le prove scientifiche, non sarebbe appropriato che istituzioni cattoliche, come istituti sanitari e centri di ritiri, o persone che rappresentano la Chiesa, come i cappellani cattolici, promuovano o forniscano la terapia Reiki", termina il documento.
Per ulteriori informazioni sulle Direttrici, http://www.usccb.org/dpp/doctrine.htm
Zenit 20 aprile 2009
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lunedì 24 agosto 2009
Machiavellismo ed adesione ai culti distruttivi
di
Negli ultimi decenni si è assistito al nascere e all’aumentare di gruppi che per il loro uso di tecniche come la manipolazione mentale possono essere definiti Culti Distruttivi. Occorre però fare una distinzione tra un culto distruttivo e un normale gruppo religioso. Infatti nel primo vi è l’uso dell’inganno nel reclutare e mantenere i propri adepti. Viene definito come culto distruttivo un qualsiasi gruppo che metta in atto tecniche fraudolente per il conseguimento dei propri obiettivi, siano essi religiosi o laici (Hassan, 2000). La realtà del culto distruttivo può essere descritta come un contesto dove non esiste alcun rispetto per i singoli individui e all’interno del quale, mediante un processo di controllo mentale, le persone vengono gradualmente condotte a comportarsi tutte allo stesso modo (Hassan, 2000; Santovecchi, 2004).
Le conseguenze del suddetto processo per il soggetto coinvolto possono consistere in una assoluta sudditanza al gruppo, nella perdita della capacità di agire autonomamente e nello sfruttamento a scopo di lucro. Da una prospettiva giuridica si incontrano diverse difficoltà nel riconoscimento dei culti distruttivi. Infatti l’insorgere di nuovi movimenti religiosi ha generato negli ultimi anni spesso una paura ingiustificata tanto da far parlare di "panico morale" (Jenkins, 1998). Ma in altri casi il rischio potrebbe risultare nella sottovalutazione del problema “culto distruttivo”. Ecco perchè, anche da un punto di vista puramente teorico, i Parlamenti delle varie nazioni hanno attualmente serie difficoltà nel determinare gli spazi per eventuali provvedimenti legislativi (Introvigne e Richardson, 2001). Infatti per i legislatori risulta essere difficoltosa la sanzione in eventuali violazioni dei diritti dell’uomo, in quanto spesso i leader dei culti abusanti riescono a mettere in pratica i loro obiettivi proteggendosi proprio dietro il Dettato Costituzionale che prevede la libertà religiosa e la libera espressione del pensiero (Bini e Santovecchi, 2005).
Quindi se da una parte esistono nuovi movimenti religiosi che hanno tutto il diritto di professare ed esprimere il loro credo, dall’altra parte non si può ignorare su quel numero tutt’altro che povero di ex-adepti e familiari di adepti che dichiarano l’esistenza di un grave problema sociale. In Italia in relazione alle sette religiose o culti distruttivi è stato messo a punto nel 1998 un rapporto della Polizia Italiana per uso interno della stessa e dei Servizi Segreti. In questo rapporto si cita l’articolo 603 del codice penale italiano del 1930 in cui si tratta il reato di plagio. Con questo termine veniva descritto l’atto di sottoporre una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione. Dal 1981 l’offesa di plagio è stata dichiarata incostituzionale. Prima di arrivare all’abrogazione dell’art. 603 però sono state emesse alcune sentenze, negli anni ’56-’57, in cui si affermava che perché potesse sussistere il reato di plagio, fra i soggetti coinvolti, doveva esistere un rapporto di padronanza, di dominio e di potere, affinché la vittima risultasse privata della facoltà di volere liberamente e di autodeterminarsi (Soper, 2001).
Solo nel 1961 la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza dove si sottolineano gli elementi costitutivi del reato di plagio in relazione all’aspetto psicologico dell’individuo. Si individuava nel plagio la instaurazione di un rapporto di soggezione della vittima al soggetto attivo, in modo che essa risultasse sottoposta al potere del secondo con completa o quasi integrale soppressione della propria volontà. Nel 1968 un intellettuale fu accusato di aver ridotto in totale stato di soggezione due giovani dopo averne annientato la volontà nella ricerca di un rapporto omosessuale. In primo grado egli fu chiamato a rispondere per il reato di plagio continuato e condannato a nove anni di reclusione (sentenza del 14 luglio 1968), poi ridotti a quattro dalla Corte d’Assise d’Appello con sentenza del 28 novembre 1969, successivamente confermata dalla Suprema Corte di Cassazione (sentenza del 21 ottobre 1971) (La Corte Costituzionale sentenza n.96, 1981). Fu nella pronuncia di secondo grado che il giudice raffigurò il soggetto plagiante come colui che non si impossessava dell’essere altrui per trarne un vantaggio di natura materiale e non mosso da fini di lucro, bensì lo descrisse come colui che assorbiva nell’energia del proprio volere ogni capacità della vittima (Soper, 2001). Dopo l’ultima sentenza che aveva provocato non poche polemiche nel campo giuridico e nel campo medico, si diede inizio a due distinte iniziative legislative al Senato e alla Camera dei Deputati che si conclusero con l’abrogazione dell’art. 603 del codice penale, definendo la nozione giuridica di plagio, respingendo le interpretazioni che configuravano l’azione del plagiante come sostanzialmente e principalmente fisica.
Veniva esclusa la tesi secondo la quale lo scopo di porre la vittima al servizio del plagiante, ricavandone un profitto, costituirebbe un elemento per distinguere il plagio dagli altri reati contro la libertà individuale. Venne così evidenziata come importante per l’esistenza del plagio, l’instaurazione di un’assoluta soggezione del plagiato con una quasi integrale soppressione della libertà e dell’autonomia della persona. Si evidenziò così la difficile applicazione dell’articolo 603 c.p. perché troppo suscettibile agli eventi dei singoli casi e soprattutto perché non suffragata da prove scientifiche di matrice psicologica (Bini e Santovecchi, 2005). Allo stato attuale appare interessante constatare che la libertà religiosa in riferimento all’art. 8 della nostra Costituzione, preveda che gli emergenti movimenti religiosi abbiano determinati requisiti affinché ne avvenga il riconoscimento legislativo da parte dello Stato. Vengono così posti dei limiti al riconoscimento di tali movimenti. Questo non impedisce però ai culti la possibilità di attuare una gestione che prevede l’utilizzo di tecniche manipolatorie al fine di far credere, alle persone che vi aderiscono, di aver mantenuto il proprio diritto alla libertà individuale (Bini e Santovecchi, 2005).
In Italia, il primo firmatario di un Disegno di Legge per l’istituzione di una Commissione Parlamentare di inchiesta sulle sette è stato il Senatore e Sottosegretario alla Difesa Francesco Bosi (UDC) (Disegno di Legge n. 4605, 10 maggio 2000). L’Onorevole, consapevole dell’importanza dell’art. 8, sottolinea tuttavia che non si possono trascurare quei comportamenti che sconfinano in attività illecite, in lucrosi e occulti accumuli di denaro che spesso sfuggono alla fiscalità e che provocano denunce alla Magistratura di danni patiti o di minacce ricevute da chi intende recedere da queste appartenenze (Bini e Santovecchi, 2005).
Successivamente l’Onorevole Valdo Spini (DS) ha presentato una proposta di legge sulla libertà di religione (Disegno di Legge n. 1576, 14 settembre 2001). Tale proposta si pone l’obiettivo di regolare l’applicazione dell’art. 7 della Costituzione (rapporti giuridici tra la Repubblica Italiana e lo Stato Città del Vaticano) e l’art. 8 che descrive la possibilità, per altre confessioni religiose, con regolari requisiti, di stipulare delle intese con lo Stato Italiano. Punto centrale di questo disegno di legge è che tutti hanno il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso in forma individuale o associata, di farne propaganda, di esercitarlo in privato o in pubblico, purchè non si contrapponga al buon costume (Bini e Santovecchi, 2005).
Di fronte all’emergere di fenomeni sociali quali, ad esempio, le numerose sette religiose che sempre di più si stanno diffondendo, ci si è resi conto che la già citata abrogazione dell’ articolo 603 del Codice Penale, ha creato un evidente vuoto di tutela all’interno dell’ordinamento italiano (Alfano, 2005).
Per questo motivo si è pensato di prevedere una norma che contempli e sanzioni il reato di manipolazione mentale. E’ il caso del Disegno di Legge n. 800, 6 novembre 2001 del Senatore Renato Meduri (AN) (Bini e Santovecchi, 2005).
In seguito, con la Legge dell’11 agosto 2003 n. 228, pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” del 23 agosto 2003 n. 195, si arriva ad una riformulazione del reato di riduzione in schiavitù, ad un ampliamento del suo ambito applicativo, tale per cui, ora, è compresa all’interno della norma anche la riduzione di un uomo in uno stato di “soggezione continuativa”. Tale legge di fatto riporta in auge quello che era il plagio fino al 1981, ma tacendone la vecchia denominazione. (Alfano, 2005).
Questa legge ha riformato radicalmente gli articoli del Codice Penale inerenti il reato di riduzione in schiavitù e ha ampliato il suo ambito applicativo, tale per cui è prevista ora la punizione per chi abusa della credulità popolare (art. 661 c.p.), per circonvenzione d’incapace (art. 643 c.p.) e per abuso della professione medica (art. 348 c.p.). Quest’ultimo caso si riferisce ai culti dove i leader si propongono come medici o curatori somministrando farmaci o droghe. Tutti questi provvedimenti possono tuttavia risultare non sufficienti per arginare il fenomeno dei culti distruttivi. Infatti essi sono ancora rivolti più ad un reato contro il patrimonio che ad una tutela della persona (Bini e Santovecchi, 2005). La tutela della persona risulta essere importante in quanto l’obiettivo finale dei culti distruttivi è il controllo mentale del soggetto coinvolto. Per controllo mentale, si intende un processo di sradicamento delle credenze precedenti di un individuo e il loro rimpiazzo con credenze nuove attraverso l’uso della persuasione coercitiva. È un processo disegnato appositamente per diminuire l’indipendenza e l’individualità della persona e far sì che acquisisca una nuova personalità conforme al culto (Cult Awareness & Information Centre, 2006). Tuttavia l’esistenza del controllo mentale è stata spesso messa in dubbio dal punto di vista scientifico (Zimbardo, 2002) ed è fonte di accesi dibattiti, da cui nascono alcuni quesiti:
Un culto distruttivo può mettere in discussione i principi di libertà religiosa dei cittadini in modo che questi si uniscano senza piena coscienza a gruppi carismatici?
Come è possibile affrontare da una prospettiva psicologica le organizzazioni con programmi religiosi o di potenziamento mentale e fare in modo che questi non influenzino media e giudizi legali?
Quale può essere il ruolo dell’American Psychological Association (APA) nello stabilire i principi per trattare quelle persone che dicono di aver subito abusi da parte dei culti o nel formare terapeuti specializzati e fornire a quest’ultimi delle linee guida? (Zimbardo, 2002).
Un valore di base ritrovabile anche in psicologia, è il promuovere la libertà umana e il fornire strumenti agli individui per esercitarla. Qualsiasi significato si voglia attribuire al concetto di controllo mentale risulterebbe in opposizione a orientamenti di questo tipo. Necessita un approfondimento il concetto di controllo mentale, infatti con questa definizione si intende un processo di sradicamento delle credenze precedenti di un individuo e il loro rimpiazzo con nuove credenze mediante l’uso della persuasione coercitiva (Cult Awareness & Information Centre, 2006). Attraverso il controllo mentale si ottiene una distorsione nella percezione, nella motivazione, nell’affetto, nella cognizione e nel comportamento (Zimbardo, 2002).
Sono stati individuati quattro tipi di controllo che possono essere esercitati, per esempio il controllo del comportamento, le tecniche di blocco del pensiero, il controllo delle emozioni e il controllo delle informazioni (Cult Awareness & Information Centre, 2006). Il controllo del comportamento si riferisce alla realtà fisica dell’individuo, ossia dove vive, quello che mangia, il suo abbigliamento e i suoi rituali. Ogni culto ha un suo set di comportamenti distintivi che caratterizza chi ne fa parte. Il pensiero viene invece controllato attraverso l’accettazione di una ideologia considerata la “verità”. Le informazioni in entrata vengono filtrate attraverso lo stesso credo e attraverso l’utilizzo di un linguaggio interno o gergo che regola ulteriormente i pensieri individuali. Un’altra forma di controllo consiste in tecniche di blocco del pensiero, che utilizzano il cantare, il mormorare, il ripetere preghiere in concentrazione e i linguaggi caricati (espressione utilizzata per descrivere il gergo che è specifico per ogni culto) per limitare la capacità della persona di valutare la realtà. Nel momento in cui nel soggetto si dovessero creare dubbi o incertezze riguardo al gruppo, egli viene istruito ad aumentare i ritmi di ripetizione di questi rituali. Vengono manipolati anche i sentimenti della persona facendo nascere nel soggetto paure e sensi di colpa. Per manipolare la paura esistono due modi: il primo è far credere che esista un nemico esterno che perseguita; il secondo consiste nel portare la persona alla convinzione che verrà messa in atto una punizione da parte del leader nel caso in cui non venga seguita l’ideologia del gruppo. I sensi di colpa vengono insinuati nel soggetto, per far sì che egli non percepisca il controllo effettuato su di lui. Questo processo è lo stesso che coinvolge le vittime degli abusi, che vengono condizionate ad incolpare se stesse di ciò che gli accade, inoltre i membri del gruppo arrivano addirittura a ringraziare il leader quando questi fa notare loro le trasgressioni. Il più potente controllo emotivo risulta essere comunque l’indottrinamento alla fobia. Essendo l’ambiente esterno descritto come persecutorio, la persona può avere reazioni di panico al solo pensiero di lasciare il gruppo, risultando così praticamente impossibile per lei concepire la vita al di fuori del culto. Il controllo delle fonti d’informazione rende talmente carenti i meccanismi necessari al soggetto per l’elaborazione della realtà da renderlo isolato dal resto della società (Cult Awareness & Information Centre, 2006). Per ottenere un controllo mentale si utilizzano alcune tecniche, quella che si tratta in questo articolo è la tecnica della manipolazione mentale, descritta da Singer e Lalich nel 1995. Gli autori suddividono la manipolazione mentale in tre fasi consecutive. Pongono come prima fase il cosiddetto scongelamento; una seconda fase definita cambiamento; ed una terza descritta come ricongelamento. L’influenza del gruppo sul soggetto può dipendere sia dalla capacità di persuadere, dalle relazioni di potere, dalle tattiche, dalle strategie manipolative del leader o del reclutatore, che non sempre sono la stessa persona, ma anche dal grado di suggestibilità del soggetto da reclutare o coinvolto. Risultano essere ricorrenti, in alcuni articoli che affrontano l’argomento, delle caratteristiche di personalità dei soggetti coinvolti, queste caratteristiche sono la suggestibilità e il machiavellismo (Loftus e mazzoni, 1998; Sherry, Hewitt, Besser, Flett e Klein, 2006).
La suggestibilità, intensa come tendenza di un individuo ad essere più facilmente indotto ad agire in un determinato modo, ad accettare una certa opinione, fede o convincimento senza una reale motivazione logica, può rivelarsi una caratteristica delle persone che possono essere coinvolte in un culto (Loftus e Mazzoni, 1998). Sfruttando questa caratteristica le persone possono essere indotte a ricordare eventi del proprio passato in modo diverso da come sono accaduti realmente (Loftus e Mazzoni, 1998).
Binet per primo introdusse il concetto di suggestibilità interrogativa all’inizio del secolo (Binet, 1900). Più tardi, nel 1938, Stern dimostrò che facendo intuire ai soggetti quale fosse la risposta desiderata ad una domanda posta, nonostante tale risposta potesse essere scorretta, essi tendevano ad accontentare lo sperimentatore (Stern, 1938).
Negli studi di Gudjonsson (1993), emerge anche la presenza di particolari caratteristiche nei soggetti più suggestionabili come, per esempio, un livello inferiore di quoziente intellettivo (Q.I.) rispetto alla media, una maggiore acquiescenza comune nelle persone con ritardo mentale, una giovane età e livelli di ansia alti (Clare e Gudjonsson, 1993). In seguito anche Loftus e Mazzoni (1998), hanno rilevato che nelle memorie di individui con un’alta capacità dissociativa è più facile inserire falsi ricordi della loro infanzia poiché tendono a dubitare delle loro capacità mnemoniche. Allo stesso tipo di suggestione sono sensibili le persone che possiedono una vivida immaginazione forse proprio a causa dell’attività immaginativa che spesso li porta ad alterare la realtà (Loftus e Mazzoni, 1998). In base al grado di suggestibilità dell’individuo e alle modalità utilizzate per suggestionarlo, si possono ottenere risposte comportamentali e reazioni psicologiche diverse. Si può perfino arrivare a perdere la fiducia nelle proprie convinzioni e interiorizzare sensi di colpa (Brett e Trowbridge, 2003).
La suggestibilità può essere individuata da persone che intendono avere un controllo su altre e utilizzata per esercitare una manipolazione mentale (Hassan, 2000).
Invece, a coloro che sono in grado di esercitare questo potere sono state associate spesso le seguenti caratteristiche: una relativa mancanza di coinvolgimento emotivo nelle relazioni interpersonali, una non dipendenza dai canoni della morale convenzionali, l’assenza di tratti psicopatologici e uno scarso impegno ideologico. Queste caratteristiche sono state incluse nel concetto di Machiavellismo (Christie e Geis, 1970). Il Machiavellismo implica una distaccata manipolazione degli altri, sdegno per la moralità convenzionale e una cinica visione della vita (Christie e Geis, 1970). Gli individui machiavellici possono essere descritti come autoritari, impersonali, diffidenti, pratici, freddi, ingannatori, impenetrabili e sfruttatori (McHoskey, Worzel e Szyarto, 1998). Gli individui machiavellici “manipolano di più, vincono di più, sono meno persuasibili e riescono a persuadere di più” (Christie e Geis, 1970, p. 312).
Alcune ricerche (McHoskey, 2001), hanno esaminato in un campione tratto dalla popolazione normale le relazioni tra machiavellismo e disordini di personalità, rilevando che tale caratteristica tende ad associarsi con tratti che possono indicare alterazioni di personalità. Tra questi si evidenziano il nevroticismo, il narcisismo, la psicopatia e caratteristiche di una scarsa capacità di adattamento (McHoskey, 2001).
Un ulteriore aspetto degli individui machiavellici sembrerebbe quello di avere comportamenti sessuali caratterizzati da narcisismo, manipolazione e ostilità, tendenti alla promiscuità e alla curiosità non sempre associate a sentimenti di soddisfazione (McHoskey, 2001). In un ulteriore studio di Sherry, Hewitt, Besser, Flett e Klein (2006), è stato rilevato che gli individui machiavellici potrebbero possedere schemi relazionali in cui gli altri vengono percepiti come aventi un potere di controllo. Spesso tali individui raccontano di essere cresciuti in un ambiente punitivo e non accogliente e ciò potrebbe spiegare la loro percezione degli altri come ostili. Gli individui machiavellici tenderebbero a rispondere alla percezione di controllo con la ribellione e con la resistenza piuttosto che con la sottomissione e la compiacenza. Inoltre questi soggetti tendono ad assumere comportamenti che siano perfetti agli occhi degli altri, quindi possono essere perfezionisti nella presentazione di sé per arrivare ad avere un vantaggio sugli altri, a dare un’immagine di forza e dominanza (Sherry, Hewitt, Besser, Flett e Klein, 2006). Parlando di culti distruttivi o sette, realtà che si rivela sempre più attuale anche in Italia, si evidenzia la fondamentale importanza degli aspetti di personalità del manipolatore e del manipolato ai fini di uno studio sulle caratteristiche sociali del fenomeno. Infatti l’appartenenza ad organizzazioni estremistiche religiose e non, coinvolge non soltanto le persone interessate, ma anche le loro reti di relazioni con la possibilità di provocare tensioni e sofferenze. A questo proposito si è pensato di affrontare un’indagine su questa tematica con l’obiettivo di approfondire la conoscenza del fenomeno. In questo lavoro il campione era composto da 60 persone suddivise in due gruppi da 30 ciascuno. Al primo gruppo appartenevano ex-leader di culti distruttivi di varia natura (religiosa, filosofica o professionale), il secondo invece era composto da persone che avevano dichiarato di non essere mai venute a contatto con culti. Per entrare in contatto con gli ex-adepti leader è stato necessario rivolgersi all’Osservatorio Nazionale degli Abusi Psicologici (O.N.A.P.) con sede a Firenze. Questa associazione ha tra i suoi obiettivi il sostegno a persone che vogliono uscire da gruppi pericolosi, da culti religiosi ad alta richiesta o da sette occulte. Il campione tratto dalla popolazione generale è stato reclutato in base al genere e all’età per renderlo confrontabile con il campione di riferimento. L’età del campione degli ex-adepti leader era compresa tra i 20 e i 71 anni con una media di anni 42 11.66 ed era composto da 16 maschi e 14 femmine. Il campione tratto dalla popolazione generale era di età compresa tra i 22 e i 63 anni, con una media di anni 42 11.49 ed era composto da 15 maschi e 15 femmine. Per quanto riguarda il grado d’istruzione all’interno del campione degli ex-adepti leader il 36.7% dei partecipanti risultava aver conseguito il diploma superiore; il 33.4% aveva conseguito titoli di studio universitari (diploma di laurea o laurea) e una percentuale pari al 23.4% aveva interrotto gli studi con la licenza media. Nel campione tratto dalla popolazione generale si notava una più alta percentuale di coloro che avevano conseguito il diploma superiore (56.6%). Per quanto riguarda il conseguimento di titoli di studio universitari la percentuale era del 26.6%, ma risultava inferiore in questo campione la percentuale di coloro che avevano interrotto gli studi alla licenza media (13.3%). Per l’indagine sono stati usati due diversi strumenti: l’adattamento italiano della scala Mach IV a cura di Galli e Nigro (1983) originariamente messo a punto da Richard Christie (1959) e uno strumento appositamente messo a punto per approfondire le caratteristiche dei culti e le relazioni degli ex-adepti leader con le rispettive reti sociali. Il Mach IV è composto da 20 item che si rifanno al costrutto di machiavellismo proposto da Christie (1959). suddivisi in tre aree d’appartenenza: Tattiche, Moralità e Visione del mondo. Gli item dell’area Tattiche riguardano le strategie messe in atto dal soggetto nell’approccio verso gli altri; quelli dell’area Moralità si riferiscono ai valori condivisi dal soggetto; e quelli dell’area Visione del mondo indagano come il soggetto percepisce le azioni degli altri e la società. È inoltre prevista una scala Totale che corrisponde all’insieme delle tre sopraccitate. Il questionario per esplorare altre aree di interesse per la ricerca e per indagare sia le caratteristiche del fenomeno culti che dei soggetti che vi avevano aderito è stato predisposto facendo riferimento sia alla letteratura sulle motivazioni e sulle conseguenze dell’adesione ai culti distruttivi sia ad una serie di domande già utilizzate dall’associazione ONAP. Il fine era quello di creare un mezzo di rilevazione delle caratteristiche delle relazioni dei soggetti sia con l’ambiente familiare e amicale sia con l’ambiente cultista; inoltre lo strumento indaga le dinamiche e le implicazioni collegate all’entrata in contatto col culto (motivazione, emozioni, durata dell’esperienza nel culto, mansioni esercitate all’interno, modalità delle richieste d’aiuto e abbandono del culto). Di questo strumento sono state messe a punto due forme differenti del questionario, una per il campione degli ex-adepti leader i cui item indagavano la loro esperienza personale all’interno dei culti e una per il campione tratto dalla popolazione generale in cui veniva richiesta la loro opinione del fenomeno relativamente ad alcune caratteristiche dei culti. A seguito dei risultati statistici condotti è stato rivelato l’esistenza di alcune differenze nelle motivazioni che hanno indotto gli ex-leader ad aderire ad un culto distruttivo e le opinioni in merito di persone che non hanno mai partecipato ad un culto. Inoltre sono state rilevate differenze tra i due gruppi in merito alle caratteristiche attribuite ai culti. Si è indagato anche sulla qualità delle relazioni degli ex-adepti con le rispettive reti sociali (famiglia e amici), prendendo in considerazione tre diversi momenti, prima e durante l’adesione e dopo l’abbandono del culto. Si è proseguita l’indagine anche nelle relazioni con i membri del culto considerando il periodo dell’adesione e il periodo che seguiva all’abbandono. Infine anche nei livelli di machiavellismo tra coloro che hanno vissuto un’esperienza di leader in un culto e coloro che non ne hanno mai fatto parte sono emerse differenze significative.
E’ possibile ritenere che le aspettative di questa ricerca siano state in parte confermate dai risultati ottenuti. Abbiamo posto la nostra attenzione sulle motivazioni che possono indurre ad una adesione ad un culto e sulle aspettative, tema che ha fatto emergere differenze d’opinione tra gli ex-adepti leader e il campione generale. Inoltre abbiamo affrontato le caratteristiche delle relazioni degli ex-adepti leader con le rispettive reti sociali in tre momenti diversi, cioè prima e durante l’adesione e dopo l’abbandono del culto. Si è dedotto che nella maggior parte dei soggetti si manifestano conflitti con la propria famiglia durante l’adesione, che in media diminuiscono dopo l’abbandono e che il riavvicinamento non avviene invece con la rete amicale. Questo ci potrebbe far pensare che coloro che escono dai culti si ritrovano isolati dal resto della società. Conseguenza questa che non dovrebbe passare inosservata da una prospettiva sociale. Infine si sono individuati tratti machiavellici più alti nei maschi appartenenti al gruppo degli ex-adepti leader rispetto a tutti gli altri partecipanti. Questo risultato potrebbe significare che i soggetti potevano avere tratti machiavellici prima di entrare nel culto, potrebbero averli sviluppati durante l’adesione, ma potrebbe anche significare che il culto espelle in qualche modo persone che manifestano tratti più alti di machiavellismo, essendo il gruppo analizzato formato da ex-adepti. Questo studio presenta non poche limitazioni, per esempio il numero limitato degli ex-adepti leader, dovuto alla difficoltà a far partecipare persone che, a causa dell’esperienza traumatica vissuta mostrano una umana diffidenza nei confronti di chi si avvicina a queste tematiche senza averne avuta esperienza diretta. L’obiettivo posto alla base di questo lavoro voleva essere quello di porre l’attenzione nei confronti di un fenomeno che sicuramente necessita di una ricerca più approfondita, per non parlare del bisogno di creare enti o strutture che possano sia individuare e combattere questo tipo di abuso che coinvolge sempre più persone, sia sostenere coloro che rimasti coinvolti in una rete cultista, ma con la volontà di uscirne spesso non riescono a farlo da soli.
Riferimenti bibliografici
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Binet, A. (1900). La suggestibilité. Paris : Schleicher Freres.
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Santovecchi, P. (2004). I culti distruttivi e la manipolazione mentale. Bologna: Edizioni Devoniane.
Sherry, S. B., Hewitt, P. L., Besser, A., Flett, L., & Klein, C. (2006). Machiavellianism, trait perfectionism, and perfectionistic self-presentation. Personality and Individual Differences, 40,(4), 829-839.
Soper, J. C. (2001). Tribal instinct and religious persecution: Why do western European states behave so badly?. Journal for the Scientific Study of Religion, 40 (2), 177-180.
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Zimbardo, P. G. (2002). Mind control: Psychological reality or mindless rhetoric?. Cultic Studies Review. 1 (3), 309-311.
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titolo: Machiavellismo ed adesione ai culti distruttivi
autore: Stefania D'Ingeo
argomento: Psicologia Sociale
fonte: Vertici Network
data di pubblicazione: 21/07/2009
Stefania D'Ingeo
Negli ultimi decenni si è assistito al nascere e all’aumentare di gruppi che per il loro uso di tecniche come la manipolazione mentale possono essere definiti Culti Distruttivi. Occorre però fare una distinzione tra un culto distruttivo e un normale gruppo religioso. Infatti nel primo vi è l’uso dell’inganno nel reclutare e mantenere i propri adepti. Viene definito come culto distruttivo un qualsiasi gruppo che metta in atto tecniche fraudolente per il conseguimento dei propri obiettivi, siano essi religiosi o laici (Hassan, 2000). La realtà del culto distruttivo può essere descritta come un contesto dove non esiste alcun rispetto per i singoli individui e all’interno del quale, mediante un processo di controllo mentale, le persone vengono gradualmente condotte a comportarsi tutte allo stesso modo (Hassan, 2000; Santovecchi, 2004).
Le conseguenze del suddetto processo per il soggetto coinvolto possono consistere in una assoluta sudditanza al gruppo, nella perdita della capacità di agire autonomamente e nello sfruttamento a scopo di lucro. Da una prospettiva giuridica si incontrano diverse difficoltà nel riconoscimento dei culti distruttivi. Infatti l’insorgere di nuovi movimenti religiosi ha generato negli ultimi anni spesso una paura ingiustificata tanto da far parlare di "panico morale" (Jenkins, 1998). Ma in altri casi il rischio potrebbe risultare nella sottovalutazione del problema “culto distruttivo”. Ecco perchè, anche da un punto di vista puramente teorico, i Parlamenti delle varie nazioni hanno attualmente serie difficoltà nel determinare gli spazi per eventuali provvedimenti legislativi (Introvigne e Richardson, 2001). Infatti per i legislatori risulta essere difficoltosa la sanzione in eventuali violazioni dei diritti dell’uomo, in quanto spesso i leader dei culti abusanti riescono a mettere in pratica i loro obiettivi proteggendosi proprio dietro il Dettato Costituzionale che prevede la libertà religiosa e la libera espressione del pensiero (Bini e Santovecchi, 2005).
Quindi se da una parte esistono nuovi movimenti religiosi che hanno tutto il diritto di professare ed esprimere il loro credo, dall’altra parte non si può ignorare su quel numero tutt’altro che povero di ex-adepti e familiari di adepti che dichiarano l’esistenza di un grave problema sociale. In Italia in relazione alle sette religiose o culti distruttivi è stato messo a punto nel 1998 un rapporto della Polizia Italiana per uso interno della stessa e dei Servizi Segreti. In questo rapporto si cita l’articolo 603 del codice penale italiano del 1930 in cui si tratta il reato di plagio. Con questo termine veniva descritto l’atto di sottoporre una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione. Dal 1981 l’offesa di plagio è stata dichiarata incostituzionale. Prima di arrivare all’abrogazione dell’art. 603 però sono state emesse alcune sentenze, negli anni ’56-’57, in cui si affermava che perché potesse sussistere il reato di plagio, fra i soggetti coinvolti, doveva esistere un rapporto di padronanza, di dominio e di potere, affinché la vittima risultasse privata della facoltà di volere liberamente e di autodeterminarsi (Soper, 2001).
Solo nel 1961 la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza dove si sottolineano gli elementi costitutivi del reato di plagio in relazione all’aspetto psicologico dell’individuo. Si individuava nel plagio la instaurazione di un rapporto di soggezione della vittima al soggetto attivo, in modo che essa risultasse sottoposta al potere del secondo con completa o quasi integrale soppressione della propria volontà. Nel 1968 un intellettuale fu accusato di aver ridotto in totale stato di soggezione due giovani dopo averne annientato la volontà nella ricerca di un rapporto omosessuale. In primo grado egli fu chiamato a rispondere per il reato di plagio continuato e condannato a nove anni di reclusione (sentenza del 14 luglio 1968), poi ridotti a quattro dalla Corte d’Assise d’Appello con sentenza del 28 novembre 1969, successivamente confermata dalla Suprema Corte di Cassazione (sentenza del 21 ottobre 1971) (La Corte Costituzionale sentenza n.96, 1981). Fu nella pronuncia di secondo grado che il giudice raffigurò il soggetto plagiante come colui che non si impossessava dell’essere altrui per trarne un vantaggio di natura materiale e non mosso da fini di lucro, bensì lo descrisse come colui che assorbiva nell’energia del proprio volere ogni capacità della vittima (Soper, 2001). Dopo l’ultima sentenza che aveva provocato non poche polemiche nel campo giuridico e nel campo medico, si diede inizio a due distinte iniziative legislative al Senato e alla Camera dei Deputati che si conclusero con l’abrogazione dell’art. 603 del codice penale, definendo la nozione giuridica di plagio, respingendo le interpretazioni che configuravano l’azione del plagiante come sostanzialmente e principalmente fisica.
Veniva esclusa la tesi secondo la quale lo scopo di porre la vittima al servizio del plagiante, ricavandone un profitto, costituirebbe un elemento per distinguere il plagio dagli altri reati contro la libertà individuale. Venne così evidenziata come importante per l’esistenza del plagio, l’instaurazione di un’assoluta soggezione del plagiato con una quasi integrale soppressione della libertà e dell’autonomia della persona. Si evidenziò così la difficile applicazione dell’articolo 603 c.p. perché troppo suscettibile agli eventi dei singoli casi e soprattutto perché non suffragata da prove scientifiche di matrice psicologica (Bini e Santovecchi, 2005). Allo stato attuale appare interessante constatare che la libertà religiosa in riferimento all’art. 8 della nostra Costituzione, preveda che gli emergenti movimenti religiosi abbiano determinati requisiti affinché ne avvenga il riconoscimento legislativo da parte dello Stato. Vengono così posti dei limiti al riconoscimento di tali movimenti. Questo non impedisce però ai culti la possibilità di attuare una gestione che prevede l’utilizzo di tecniche manipolatorie al fine di far credere, alle persone che vi aderiscono, di aver mantenuto il proprio diritto alla libertà individuale (Bini e Santovecchi, 2005).
In Italia, il primo firmatario di un Disegno di Legge per l’istituzione di una Commissione Parlamentare di inchiesta sulle sette è stato il Senatore e Sottosegretario alla Difesa Francesco Bosi (UDC) (Disegno di Legge n. 4605, 10 maggio 2000). L’Onorevole, consapevole dell’importanza dell’art. 8, sottolinea tuttavia che non si possono trascurare quei comportamenti che sconfinano in attività illecite, in lucrosi e occulti accumuli di denaro che spesso sfuggono alla fiscalità e che provocano denunce alla Magistratura di danni patiti o di minacce ricevute da chi intende recedere da queste appartenenze (Bini e Santovecchi, 2005).
Successivamente l’Onorevole Valdo Spini (DS) ha presentato una proposta di legge sulla libertà di religione (Disegno di Legge n. 1576, 14 settembre 2001). Tale proposta si pone l’obiettivo di regolare l’applicazione dell’art. 7 della Costituzione (rapporti giuridici tra la Repubblica Italiana e lo Stato Città del Vaticano) e l’art. 8 che descrive la possibilità, per altre confessioni religiose, con regolari requisiti, di stipulare delle intese con lo Stato Italiano. Punto centrale di questo disegno di legge è che tutti hanno il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso in forma individuale o associata, di farne propaganda, di esercitarlo in privato o in pubblico, purchè non si contrapponga al buon costume (Bini e Santovecchi, 2005).
Di fronte all’emergere di fenomeni sociali quali, ad esempio, le numerose sette religiose che sempre di più si stanno diffondendo, ci si è resi conto che la già citata abrogazione dell’ articolo 603 del Codice Penale, ha creato un evidente vuoto di tutela all’interno dell’ordinamento italiano (Alfano, 2005).
Per questo motivo si è pensato di prevedere una norma che contempli e sanzioni il reato di manipolazione mentale. E’ il caso del Disegno di Legge n. 800, 6 novembre 2001 del Senatore Renato Meduri (AN) (Bini e Santovecchi, 2005).
In seguito, con la Legge dell’11 agosto 2003 n. 228, pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” del 23 agosto 2003 n. 195, si arriva ad una riformulazione del reato di riduzione in schiavitù, ad un ampliamento del suo ambito applicativo, tale per cui, ora, è compresa all’interno della norma anche la riduzione di un uomo in uno stato di “soggezione continuativa”. Tale legge di fatto riporta in auge quello che era il plagio fino al 1981, ma tacendone la vecchia denominazione. (Alfano, 2005).
Questa legge ha riformato radicalmente gli articoli del Codice Penale inerenti il reato di riduzione in schiavitù e ha ampliato il suo ambito applicativo, tale per cui è prevista ora la punizione per chi abusa della credulità popolare (art. 661 c.p.), per circonvenzione d’incapace (art. 643 c.p.) e per abuso della professione medica (art. 348 c.p.). Quest’ultimo caso si riferisce ai culti dove i leader si propongono come medici o curatori somministrando farmaci o droghe. Tutti questi provvedimenti possono tuttavia risultare non sufficienti per arginare il fenomeno dei culti distruttivi. Infatti essi sono ancora rivolti più ad un reato contro il patrimonio che ad una tutela della persona (Bini e Santovecchi, 2005). La tutela della persona risulta essere importante in quanto l’obiettivo finale dei culti distruttivi è il controllo mentale del soggetto coinvolto. Per controllo mentale, si intende un processo di sradicamento delle credenze precedenti di un individuo e il loro rimpiazzo con credenze nuove attraverso l’uso della persuasione coercitiva. È un processo disegnato appositamente per diminuire l’indipendenza e l’individualità della persona e far sì che acquisisca una nuova personalità conforme al culto (Cult Awareness & Information Centre, 2006). Tuttavia l’esistenza del controllo mentale è stata spesso messa in dubbio dal punto di vista scientifico (Zimbardo, 2002) ed è fonte di accesi dibattiti, da cui nascono alcuni quesiti:
Un culto distruttivo può mettere in discussione i principi di libertà religiosa dei cittadini in modo che questi si uniscano senza piena coscienza a gruppi carismatici?
Come è possibile affrontare da una prospettiva psicologica le organizzazioni con programmi religiosi o di potenziamento mentale e fare in modo che questi non influenzino media e giudizi legali?
Quale può essere il ruolo dell’American Psychological Association (APA) nello stabilire i principi per trattare quelle persone che dicono di aver subito abusi da parte dei culti o nel formare terapeuti specializzati e fornire a quest’ultimi delle linee guida? (Zimbardo, 2002).
Un valore di base ritrovabile anche in psicologia, è il promuovere la libertà umana e il fornire strumenti agli individui per esercitarla. Qualsiasi significato si voglia attribuire al concetto di controllo mentale risulterebbe in opposizione a orientamenti di questo tipo. Necessita un approfondimento il concetto di controllo mentale, infatti con questa definizione si intende un processo di sradicamento delle credenze precedenti di un individuo e il loro rimpiazzo con nuove credenze mediante l’uso della persuasione coercitiva (Cult Awareness & Information Centre, 2006). Attraverso il controllo mentale si ottiene una distorsione nella percezione, nella motivazione, nell’affetto, nella cognizione e nel comportamento (Zimbardo, 2002).
Sono stati individuati quattro tipi di controllo che possono essere esercitati, per esempio il controllo del comportamento, le tecniche di blocco del pensiero, il controllo delle emozioni e il controllo delle informazioni (Cult Awareness & Information Centre, 2006). Il controllo del comportamento si riferisce alla realtà fisica dell’individuo, ossia dove vive, quello che mangia, il suo abbigliamento e i suoi rituali. Ogni culto ha un suo set di comportamenti distintivi che caratterizza chi ne fa parte. Il pensiero viene invece controllato attraverso l’accettazione di una ideologia considerata la “verità”. Le informazioni in entrata vengono filtrate attraverso lo stesso credo e attraverso l’utilizzo di un linguaggio interno o gergo che regola ulteriormente i pensieri individuali. Un’altra forma di controllo consiste in tecniche di blocco del pensiero, che utilizzano il cantare, il mormorare, il ripetere preghiere in concentrazione e i linguaggi caricati (espressione utilizzata per descrivere il gergo che è specifico per ogni culto) per limitare la capacità della persona di valutare la realtà. Nel momento in cui nel soggetto si dovessero creare dubbi o incertezze riguardo al gruppo, egli viene istruito ad aumentare i ritmi di ripetizione di questi rituali. Vengono manipolati anche i sentimenti della persona facendo nascere nel soggetto paure e sensi di colpa. Per manipolare la paura esistono due modi: il primo è far credere che esista un nemico esterno che perseguita; il secondo consiste nel portare la persona alla convinzione che verrà messa in atto una punizione da parte del leader nel caso in cui non venga seguita l’ideologia del gruppo. I sensi di colpa vengono insinuati nel soggetto, per far sì che egli non percepisca il controllo effettuato su di lui. Questo processo è lo stesso che coinvolge le vittime degli abusi, che vengono condizionate ad incolpare se stesse di ciò che gli accade, inoltre i membri del gruppo arrivano addirittura a ringraziare il leader quando questi fa notare loro le trasgressioni. Il più potente controllo emotivo risulta essere comunque l’indottrinamento alla fobia. Essendo l’ambiente esterno descritto come persecutorio, la persona può avere reazioni di panico al solo pensiero di lasciare il gruppo, risultando così praticamente impossibile per lei concepire la vita al di fuori del culto. Il controllo delle fonti d’informazione rende talmente carenti i meccanismi necessari al soggetto per l’elaborazione della realtà da renderlo isolato dal resto della società (Cult Awareness & Information Centre, 2006). Per ottenere un controllo mentale si utilizzano alcune tecniche, quella che si tratta in questo articolo è la tecnica della manipolazione mentale, descritta da Singer e Lalich nel 1995. Gli autori suddividono la manipolazione mentale in tre fasi consecutive. Pongono come prima fase il cosiddetto scongelamento; una seconda fase definita cambiamento; ed una terza descritta come ricongelamento. L’influenza del gruppo sul soggetto può dipendere sia dalla capacità di persuadere, dalle relazioni di potere, dalle tattiche, dalle strategie manipolative del leader o del reclutatore, che non sempre sono la stessa persona, ma anche dal grado di suggestibilità del soggetto da reclutare o coinvolto. Risultano essere ricorrenti, in alcuni articoli che affrontano l’argomento, delle caratteristiche di personalità dei soggetti coinvolti, queste caratteristiche sono la suggestibilità e il machiavellismo (Loftus e mazzoni, 1998; Sherry, Hewitt, Besser, Flett e Klein, 2006).
La suggestibilità, intensa come tendenza di un individuo ad essere più facilmente indotto ad agire in un determinato modo, ad accettare una certa opinione, fede o convincimento senza una reale motivazione logica, può rivelarsi una caratteristica delle persone che possono essere coinvolte in un culto (Loftus e Mazzoni, 1998). Sfruttando questa caratteristica le persone possono essere indotte a ricordare eventi del proprio passato in modo diverso da come sono accaduti realmente (Loftus e Mazzoni, 1998).
Binet per primo introdusse il concetto di suggestibilità interrogativa all’inizio del secolo (Binet, 1900). Più tardi, nel 1938, Stern dimostrò che facendo intuire ai soggetti quale fosse la risposta desiderata ad una domanda posta, nonostante tale risposta potesse essere scorretta, essi tendevano ad accontentare lo sperimentatore (Stern, 1938).
Negli studi di Gudjonsson (1993), emerge anche la presenza di particolari caratteristiche nei soggetti più suggestionabili come, per esempio, un livello inferiore di quoziente intellettivo (Q.I.) rispetto alla media, una maggiore acquiescenza comune nelle persone con ritardo mentale, una giovane età e livelli di ansia alti (Clare e Gudjonsson, 1993). In seguito anche Loftus e Mazzoni (1998), hanno rilevato che nelle memorie di individui con un’alta capacità dissociativa è più facile inserire falsi ricordi della loro infanzia poiché tendono a dubitare delle loro capacità mnemoniche. Allo stesso tipo di suggestione sono sensibili le persone che possiedono una vivida immaginazione forse proprio a causa dell’attività immaginativa che spesso li porta ad alterare la realtà (Loftus e Mazzoni, 1998). In base al grado di suggestibilità dell’individuo e alle modalità utilizzate per suggestionarlo, si possono ottenere risposte comportamentali e reazioni psicologiche diverse. Si può perfino arrivare a perdere la fiducia nelle proprie convinzioni e interiorizzare sensi di colpa (Brett e Trowbridge, 2003).
La suggestibilità può essere individuata da persone che intendono avere un controllo su altre e utilizzata per esercitare una manipolazione mentale (Hassan, 2000).
Invece, a coloro che sono in grado di esercitare questo potere sono state associate spesso le seguenti caratteristiche: una relativa mancanza di coinvolgimento emotivo nelle relazioni interpersonali, una non dipendenza dai canoni della morale convenzionali, l’assenza di tratti psicopatologici e uno scarso impegno ideologico. Queste caratteristiche sono state incluse nel concetto di Machiavellismo (Christie e Geis, 1970). Il Machiavellismo implica una distaccata manipolazione degli altri, sdegno per la moralità convenzionale e una cinica visione della vita (Christie e Geis, 1970). Gli individui machiavellici possono essere descritti come autoritari, impersonali, diffidenti, pratici, freddi, ingannatori, impenetrabili e sfruttatori (McHoskey, Worzel e Szyarto, 1998). Gli individui machiavellici “manipolano di più, vincono di più, sono meno persuasibili e riescono a persuadere di più” (Christie e Geis, 1970, p. 312).
Alcune ricerche (McHoskey, 2001), hanno esaminato in un campione tratto dalla popolazione normale le relazioni tra machiavellismo e disordini di personalità, rilevando che tale caratteristica tende ad associarsi con tratti che possono indicare alterazioni di personalità. Tra questi si evidenziano il nevroticismo, il narcisismo, la psicopatia e caratteristiche di una scarsa capacità di adattamento (McHoskey, 2001).
Un ulteriore aspetto degli individui machiavellici sembrerebbe quello di avere comportamenti sessuali caratterizzati da narcisismo, manipolazione e ostilità, tendenti alla promiscuità e alla curiosità non sempre associate a sentimenti di soddisfazione (McHoskey, 2001). In un ulteriore studio di Sherry, Hewitt, Besser, Flett e Klein (2006), è stato rilevato che gli individui machiavellici potrebbero possedere schemi relazionali in cui gli altri vengono percepiti come aventi un potere di controllo. Spesso tali individui raccontano di essere cresciuti in un ambiente punitivo e non accogliente e ciò potrebbe spiegare la loro percezione degli altri come ostili. Gli individui machiavellici tenderebbero a rispondere alla percezione di controllo con la ribellione e con la resistenza piuttosto che con la sottomissione e la compiacenza. Inoltre questi soggetti tendono ad assumere comportamenti che siano perfetti agli occhi degli altri, quindi possono essere perfezionisti nella presentazione di sé per arrivare ad avere un vantaggio sugli altri, a dare un’immagine di forza e dominanza (Sherry, Hewitt, Besser, Flett e Klein, 2006). Parlando di culti distruttivi o sette, realtà che si rivela sempre più attuale anche in Italia, si evidenzia la fondamentale importanza degli aspetti di personalità del manipolatore e del manipolato ai fini di uno studio sulle caratteristiche sociali del fenomeno. Infatti l’appartenenza ad organizzazioni estremistiche religiose e non, coinvolge non soltanto le persone interessate, ma anche le loro reti di relazioni con la possibilità di provocare tensioni e sofferenze. A questo proposito si è pensato di affrontare un’indagine su questa tematica con l’obiettivo di approfondire la conoscenza del fenomeno. In questo lavoro il campione era composto da 60 persone suddivise in due gruppi da 30 ciascuno. Al primo gruppo appartenevano ex-leader di culti distruttivi di varia natura (religiosa, filosofica o professionale), il secondo invece era composto da persone che avevano dichiarato di non essere mai venute a contatto con culti. Per entrare in contatto con gli ex-adepti leader è stato necessario rivolgersi all’Osservatorio Nazionale degli Abusi Psicologici (O.N.A.P.) con sede a Firenze. Questa associazione ha tra i suoi obiettivi il sostegno a persone che vogliono uscire da gruppi pericolosi, da culti religiosi ad alta richiesta o da sette occulte. Il campione tratto dalla popolazione generale è stato reclutato in base al genere e all’età per renderlo confrontabile con il campione di riferimento. L’età del campione degli ex-adepti leader era compresa tra i 20 e i 71 anni con una media di anni 42 11.66 ed era composto da 16 maschi e 14 femmine. Il campione tratto dalla popolazione generale era di età compresa tra i 22 e i 63 anni, con una media di anni 42 11.49 ed era composto da 15 maschi e 15 femmine. Per quanto riguarda il grado d’istruzione all’interno del campione degli ex-adepti leader il 36.7% dei partecipanti risultava aver conseguito il diploma superiore; il 33.4% aveva conseguito titoli di studio universitari (diploma di laurea o laurea) e una percentuale pari al 23.4% aveva interrotto gli studi con la licenza media. Nel campione tratto dalla popolazione generale si notava una più alta percentuale di coloro che avevano conseguito il diploma superiore (56.6%). Per quanto riguarda il conseguimento di titoli di studio universitari la percentuale era del 26.6%, ma risultava inferiore in questo campione la percentuale di coloro che avevano interrotto gli studi alla licenza media (13.3%). Per l’indagine sono stati usati due diversi strumenti: l’adattamento italiano della scala Mach IV a cura di Galli e Nigro (1983) originariamente messo a punto da Richard Christie (1959) e uno strumento appositamente messo a punto per approfondire le caratteristiche dei culti e le relazioni degli ex-adepti leader con le rispettive reti sociali. Il Mach IV è composto da 20 item che si rifanno al costrutto di machiavellismo proposto da Christie (1959). suddivisi in tre aree d’appartenenza: Tattiche, Moralità e Visione del mondo. Gli item dell’area Tattiche riguardano le strategie messe in atto dal soggetto nell’approccio verso gli altri; quelli dell’area Moralità si riferiscono ai valori condivisi dal soggetto; e quelli dell’area Visione del mondo indagano come il soggetto percepisce le azioni degli altri e la società. È inoltre prevista una scala Totale che corrisponde all’insieme delle tre sopraccitate. Il questionario per esplorare altre aree di interesse per la ricerca e per indagare sia le caratteristiche del fenomeno culti che dei soggetti che vi avevano aderito è stato predisposto facendo riferimento sia alla letteratura sulle motivazioni e sulle conseguenze dell’adesione ai culti distruttivi sia ad una serie di domande già utilizzate dall’associazione ONAP. Il fine era quello di creare un mezzo di rilevazione delle caratteristiche delle relazioni dei soggetti sia con l’ambiente familiare e amicale sia con l’ambiente cultista; inoltre lo strumento indaga le dinamiche e le implicazioni collegate all’entrata in contatto col culto (motivazione, emozioni, durata dell’esperienza nel culto, mansioni esercitate all’interno, modalità delle richieste d’aiuto e abbandono del culto). Di questo strumento sono state messe a punto due forme differenti del questionario, una per il campione degli ex-adepti leader i cui item indagavano la loro esperienza personale all’interno dei culti e una per il campione tratto dalla popolazione generale in cui veniva richiesta la loro opinione del fenomeno relativamente ad alcune caratteristiche dei culti. A seguito dei risultati statistici condotti è stato rivelato l’esistenza di alcune differenze nelle motivazioni che hanno indotto gli ex-leader ad aderire ad un culto distruttivo e le opinioni in merito di persone che non hanno mai partecipato ad un culto. Inoltre sono state rilevate differenze tra i due gruppi in merito alle caratteristiche attribuite ai culti. Si è indagato anche sulla qualità delle relazioni degli ex-adepti con le rispettive reti sociali (famiglia e amici), prendendo in considerazione tre diversi momenti, prima e durante l’adesione e dopo l’abbandono del culto. Si è proseguita l’indagine anche nelle relazioni con i membri del culto considerando il periodo dell’adesione e il periodo che seguiva all’abbandono. Infine anche nei livelli di machiavellismo tra coloro che hanno vissuto un’esperienza di leader in un culto e coloro che non ne hanno mai fatto parte sono emerse differenze significative.
E’ possibile ritenere che le aspettative di questa ricerca siano state in parte confermate dai risultati ottenuti. Abbiamo posto la nostra attenzione sulle motivazioni che possono indurre ad una adesione ad un culto e sulle aspettative, tema che ha fatto emergere differenze d’opinione tra gli ex-adepti leader e il campione generale. Inoltre abbiamo affrontato le caratteristiche delle relazioni degli ex-adepti leader con le rispettive reti sociali in tre momenti diversi, cioè prima e durante l’adesione e dopo l’abbandono del culto. Si è dedotto che nella maggior parte dei soggetti si manifestano conflitti con la propria famiglia durante l’adesione, che in media diminuiscono dopo l’abbandono e che il riavvicinamento non avviene invece con la rete amicale. Questo ci potrebbe far pensare che coloro che escono dai culti si ritrovano isolati dal resto della società. Conseguenza questa che non dovrebbe passare inosservata da una prospettiva sociale. Infine si sono individuati tratti machiavellici più alti nei maschi appartenenti al gruppo degli ex-adepti leader rispetto a tutti gli altri partecipanti. Questo risultato potrebbe significare che i soggetti potevano avere tratti machiavellici prima di entrare nel culto, potrebbero averli sviluppati durante l’adesione, ma potrebbe anche significare che il culto espelle in qualche modo persone che manifestano tratti più alti di machiavellismo, essendo il gruppo analizzato formato da ex-adepti. Questo studio presenta non poche limitazioni, per esempio il numero limitato degli ex-adepti leader, dovuto alla difficoltà a far partecipare persone che, a causa dell’esperienza traumatica vissuta mostrano una umana diffidenza nei confronti di chi si avvicina a queste tematiche senza averne avuta esperienza diretta. L’obiettivo posto alla base di questo lavoro voleva essere quello di porre l’attenzione nei confronti di un fenomeno che sicuramente necessita di una ricerca più approfondita, per non parlare del bisogno di creare enti o strutture che possano sia individuare e combattere questo tipo di abuso che coinvolge sempre più persone, sia sostenere coloro che rimasti coinvolti in una rete cultista, ma con la volontà di uscirne spesso non riescono a farlo da soli.
Riferimenti bibliografici
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titolo: Machiavellismo ed adesione ai culti distruttivi
autore: Stefania D'Ingeo
argomento: Psicologia Sociale
fonte: Vertici Network
data di pubblicazione: 21/07/2009
I culti distruttivi e la manipolazione mentale
“Fino a che non diventeranno coscienti del loro potere, non saranno mai capaci di ribellarsi, e fino a che non si saranno liberati, non diventeranno mai coscienti del loro potere”.
George Orwell
TECNICHE DI PERSUASIONE
Conoscere per proteggersi
Dalla metà del secolo scorso, si è assistito ad un proliferare di piccoli gruppi o vere e proprie organizzazioni “multinazionali”: culti vari, alcuni dal sapore esotico, altri di tipo magico. Molti promuovono dottrine sincretiste di tipo esoterico-iniziatico; ma tutti si dichiarano depositari di “verità” assolute o di “conoscenze” superiori.
Chiaramente non tutti i gruppi denominati “culti” e che prevedono credenze e rituali, devono necessariamente essere considerati distruttivi. A questo punto è bene spiegare, che quando si parla in questo testo di culti, si intendono quei culti “distruttivi”, che sistematicamente danneggiano i propri membri con l’uso di tecniche ingannevoli, non dichiarate quale il controllo mentale in violazione di diritti primari riconosciuti dagli ordinamenti più avanzati; i quali precisano la nozione di “diritto umano”. Studiosi del settore, definiscono così un culto distruttivo: un qualsiasi gruppo nel quale senza tener conto di ideologia, dottrina, credo – si pratica la manipolazione mentale, da cui risulta la distruzione della persona sul piano psichico (a volte fisico, spesso finanziario), e della famiglia, del suo entourage e della società, al fine di condurla ad aderire senza riserve e a partecipare a un’attività che attenta ai diritti dell’uomo e del cittadino.
Un culto “distruttivo” quindi, si distingue da un normale gruppo sociale o religioso principalmente per il suo ricorrere all’inganno, allo scopo di attrarre o trattenere al suo interno gli adepti; solo e sempre in tale senso – lo ripeto in questo testo va inteso il nostro uso del termine.
L’adesione a questi “nuovi” culti è un fenomeno complesso, che riflette da una parte i disagi e i bisogni dell’uomo del nostro tempo, dall’altra la gran confusione che regna su questi argomenti. Purtroppo a farne le spese sono spesso le famiglie che, disinformate, si rendono conto che qualcosa non va, quando ormai il proprio caro è già fin troppo coinvolto in uno di questi gruppi.
Così in questi ultimi decenni la diffusione, l’incidenza e l’allarme sociale conseguente a fenomeni estremi di controllo mentale, hanno reso attuali e necessari studi qualificati per contrastare
“una tecnica capace di distruggere l’identità di un individuo… un sistema di influenze capaci di distruggere e sostituire l’insieme di credenze, comportamenti, modi di pensare, metodi di interazione con il prossimo. Una diversa fisionomia mentale che l’individuo non avrebbe mai scelto e mai accettato con la sua vera identità” .
(Steven Hassan, Mentalmente Liberi, Avverbi Roma 1999)
Stigmatizzare l’ex adepto
Purtroppo molto spesso gli ex membri non sono adeguatamente capiti e valorizzati. Troppe volte vengono considerati povere vittime piene solo di livore e additati con l’etichetta di "pentiti", come a voler richiamare alla mente quegli ex mafiosi non troppo affidabili di cui la cronaca spesso ci parla. Questi stereotipi producono una tratto distintivo negativo intorno agli ex cultisti, separandoli dal resto della società: hanno la “fedina penale sporca”. Al contrario gli ex membri sono persone che finalmente hanno conosciuto la vera realtà del culto a cui appartenevano; prima ignoravano gli inganni dottrinali e le tecniche di persuasione adottate per tenerli all’interno del gruppo.
La rievocazione del proprio passato può essere causa di nuovo dolore. Per di più, quando tentano di spiegare cosa è loro accaduto, espongono a rischio la loro attendibilità. Molti infatti sono portati a colpevolizzare, o quanto meno a commiserare gli ex membri come persone deboli intellettualmente o psicologicamente.
Un ex adepto racconta:
«Non è possibile descrivere la sofferenza che si prova quando si scopre che ti hanno ingannato e, che manipolando la tua mente, hanno fatto di te quello che hanno voluto. È indescrivibile il tormento dato dalla sensazione di essere stati fagocitati da un mostro che si manteneva in vita nutrendosi di te. Come spiegare a chi non ha mai sperimentato come ci si senta ad essere violentati? Perché di vera e propria violenza si tratta, violentati sia spiritualmente che psicologicamente. Il "sogno" si trasforma in un "incubo».
da: I culti distruttivi e la manipolazione mentale
di
Patrizia Santovecchi
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