giovedì 16 luglio 2009

Credere nell'immaginato: l'induzione di falsi ricordi (III parte)

Nell'insorgere della sindrome da falso ricordo, un ruolo di primo piano viene rivestito dal terapeuta o comunque da chi consapevolmente o meno alimenta l'ossessione del soggetto che ha di fronte, inducendolo a scambiare la sua attività immaginifica in produzione di ricordi.

Lo stesso Freud nella sua Autobiografia del 1924 scriveva:

“Prima di proseguire oltre nella valutazione della sessualità infantile, devo por mente a un errore del quale fui vittima per un certo periodo e che per poco non compromise irrimediabilmente tutta la mia opera.

Sotto la spinta del procedimento tecnico che usavo allora, la maggior parte dei miei pazienti riproduceva scene della propria infanzia che avevano come contenuto la loro seduzione sessuale ad opera di una persona adulta. Le donne attribuivano quasi sempre la parte del seduttore al proprio padre.

Affidandomi a tali comunicazioni dei pazienti, supposi di aver trovato l'origine delle successive nevrosi in questi episodi di seduzione sessuale risalenti all'età infantile. Alcuni casi nei quali tali relazioni col padre, lo zio o un fratello maggiore si erano protratte fino ad anni di cui il ricordo era rimasto vivido, mi rafforzarono nel mio convincimento (...).

Ciò accadeva in un'epoca in cui io stesso facevo violenza al mio senso critico per costringerlo a essere imparziale e ricettivo dinanzi alle molteplici novità che ogni giorno andavo scoprendo. Quando in seguito mi vidi invece costretto a riconoscere che tali scene di seduzione non erano mai avvenute in realtà, ma erano solo fantasie create dall'immaginazione dei miei pazienti – e magari anche suggerite da me – rimasi per un certo periodo assai disorientato.

La fiducia nella mia tecnica e nei miei risultati subì un fiero colpo: a rintracciare quelle scene ero giunto per mezzo di un procedimento tecnico che reputavo ineccepibile e il contenuto di esse era palesemente correlato con i sintomi da cui era partita la mia indagine.

Tuttavia una volta riavutomi fui subito in grado di trarre dalla mia esperienza le giuste conclusioni: i sintomi nevrotici non erano collegati direttamente a episodi realmente avvenuti, ma piuttosto a fantasie di desiderio, per la nevrosi la realtà psichica era più importante della realtà materiale” (pp. 51-52).


Secondo Gardner, malgrado la rilevanza del ruolo di un induttore di tale falso ricordo, il soggetto affetto dalla sindrome appena descritta difficilmente riconoscerà l'influenza giocata da questo, bensì sosterrà che i ricordi di abuso sono emersi indipendentemente dall'attività di altri (fenomeno del pensatore indipendente). Nei racconti dei soggetti affetti da tale sindrome, si individuano scenari presi a prestito con l'uso di espressioni linguistiche tipicamente tecniche (“ho rimosso”, “sto negando”, etc) imparati durante il percorso di interiorizzazione.

Altre caratteristiche sono

l'assenza di ricordi positivi relativi alla relazione con il presunto abusatore

la convinzione che i ricordi di aspetti positivi dell'esperienza col presunto abusatore siano una sorta di copertura dell'orrore realmente vissuto (reinterpretazione retrospettiva)

assenza dei sensi di colpa per l'azione di denigrazione del presunto abusatore


La memoria autobiografica rappresenta uno dei sistemi più importanti della nostra mente per la costruzione del Sè (Ribot, 1882; Galton, 1892; Fitzgerald, 1986), determinando rappresentazioni in continua evoluzione anche in rapporto all'immagine di sè che dagli altri viene riflessa.

La ricerca contemporanea individua nei lobi frontali la capacità anamnestica, tant'è che nei casi di lesioni a tali lobi non solo porta a difficoltà nel recupero della memoria autobiografica, ma anche ad una scorretta valutazione delle memorie recuperate (Schacter ed altri).


In assenza di lesioni dei lobi frontali i ricordi errati vengono accettati come veri quando i meccanismi preposti a valutare la plausibilità e probabilità sono deficitari o quando la valutazione di plausibilità e di probabilità fanno protendere verso un'attribuzione del ricordo quale vero (Mazzoni, 1997).


La nostra memoria è quindi malleabile e modificabile. E c'è chi ne approfitta.


George Orwell nel suo 1984 descrive un Ministro della Verità preposto a riscrivere la storia negando l'accesso ai veri episodi precedenti. Ogni volta che il Grande Fratello lo desidera, il Ministro della Verità modifica la storia e tutti devono ricordare l'attuale e non il pregresso. E' impedito a tutti di ragionare e di porsi le domande necessarie per confronti e delucidazioni. La Verità è quella del momento.

Fortunatamente, però, fuori da certi contesti così fortemente persuasivi, l'individuo nella maggior parte dei casi possiede un sistema di valutazione in grado di distinguere un vero ricordo da uno falso.


Morpheus dopo aver ricoverato Nemo nel suo hovercraft gli sussura: “Se ci fanno male gli occhi mentre guardiamo la realtà, è soltanto perchè non li abbiamo aperti”.



Dr.ssa Lorita Tinelli

12 Luglio 09