lunedì 27 luglio 2009
È il 2009. Sapete dov’è la vostra anima?
Mi è piaciuto molto questo articolo di Bono. Soprattutto la frase : In tempi bui e agitati, la gente dimostra ciò che è veramente
"Sono al centro di Manhattan, un posto dove i tassisti suonano i clacson come fossero strumenti musicali e urlare nei ristoranti è uno sport nazionale.
A miglia e miglia di distanza dalla calda brezza di voci che mi avvolgeva una settimana fa, la domenica di Pasqua.
“Sia gloria al tuo nome” cantavano le donne dell’isola, cullandosi avanti e indietro nella piccola chiesa in arenaria. Fui sopraffatto da un’esplosione di colori, da un’ondata di emozioni che mi trascinò con sé verso il mare.
La cristianità, a quando pare, ha un ritmo - che procede in crescendo proprio in questo periodo dell’anno. La rumba del carnevale cede il passo alla lenta marcia della Quaresima, per poi dare spazio agli staccato degli inni pasquali. Dalle orge dei baccanali alle visioni ultraterrene. Dopo quaranta giorni nel deserto, tipo.
Carnevale - le rock star ci sanno fare, col carnevale.
Carne-vale, addio alla carne: un party di commiato. Sono stato a molti carnevali. I brasiliani dicono di essersi inventati il più lungo; di sicuro, il migliore. Non puoi fare altro che lasciarti contagiare dalla febbre, unirti alla parata di festaioli che irrompe per le strade della città, come un fiume che travolge gli argini, in un’esplosione di divertimento che si fa ritmo. È una gioia che non può essere invocata. È forza vitale. È un cuore pieno, traboccante di gratitudine. A voi la scelta…
È con la Quaresima che non sono mai andato d’accordo. Ci ho rinunciato. Quando si arriva alla negazione di sé, faccio fiasco in maniera colossale. La mia idea di disciplina è semplice - lavorare sodo - ma ovviamente è solo un’altra indulgenza.
Poi arriva il passaggio dalla morte alla vita, la Pasqua.
È un momento trascendente, per me - una rinascita di cui ho sempre avvertito il bisogno. Mai con la stessa intensità di qualche anno fa, quando è morto mio padre. Mi tornano in mente l’imbarazzo e il sollievo delle lacrime cocenti sulle guance, mentre mi inginocchiavo nella piccola cappella di un paesino francese, pentendomi della mia natura di figliol prodigo - pentendomi per aver combattuto mio padre tanto a lungo e per essermi lasciato sfuggire troppe volte l’opportunità di conoscerlo meglio. Ricordo la sensazione di quella “pace che sorpassa ogni preoccupazione umana” come una liberazione da un fardello. Tra tutte le feste cristiane, la Pasqua è quella che richiede la fede più grande - ti spinge oltre il profondo rispetto per la Creazione, attraverso lo sconcerto dell’idea di un “nato da una vergine”, fino alla smisurata, inverosimile concezione che la morte non sia la fine di tutto. La croce come un incrocio, un bivio. Che siate o meno religiosi, l’idea di poter ricominciare da capo è irresistibile.
*
Domenica scorsa, il maestro del coro sobbalzava - di volta in volta impetuoso, quieto, tenero e giocoso - al suono dei più virtuosi dei pianoforti e delle melodie. Intonava le sue invocazioni con una splendida voce da tenore, possente come una quercia, mentre al suo fianco un ragazzino lentigginoso si prodigava su conga e tamburello come se avesse sotto le dita una batteria corredata di tutto punto. Il coro dei parrocchiani si levava verso le travi del soffitto, canti di lode a un Dio che aveva apparentemente rinunciato a sovrastare le nostre voci con la Sua.
Per quale motivo mi rifugio tra le mura di un’umile chiesetta o di un’imponente cattedrale? Per vedere se la mia testa funziona come si deve? O il mio cuore? No: per occuparmi della mia anima. Queste meditazioni sono, per me, come il filo a piombo per un capomastro - che verifica se le pareti stanno venendo su dritte o storte. Controllo come funziona la mia vita emotiva con la musica; la mia vita intellettuale, con la scrittura. Ma quando mi metto in cammino alla ricerca della mia anima, non posso che approdare alla religione.
Il sacerdote disse: “Che cosa giova all’uomo guadagnare il mondo intero se perde la propria anima?”. Sentendo queste parole, ciascuno dei pellegrini raccolti nella stanza domandò: “Sono io, Signore?”. In America, in Europa, tutti si chiedono: “Siamo noi?“.
Be’, sì. Siamo noi.
Il carnevale è finito. L’anima del commercio ha reso incandescente il clima e i mercati. I cieli fuligginosi della rivoluzione industriale hanno cambiato luogo ed estensione. Ma adesso, lo scioglimento dei ghiacciai fa ribollire i mari in tempi di rivoluzione hi-tech. Il capitalismo è sotto processo; la globalizzazione, ancora una volta, sul banco degli imputati. Dicevamo che tutto ciò che desideravamo per il resto del mondo era tutto ciò che possedevamo anche noi. Poi ci siamo resi conto che, se ogni essere vivente sulla faccia della Terra avesse avuto un frigorifero, una casa e un SUV, saremmo soffocati nei nostri stessi gas di scarico.
La Quaresima incombe su di noi, che la cosa ci vada a genio o meno. E assieme a lei, speriamo compaia anche una speranza di redenzione - cancellazione dei peccati. Non solo in senso spirituale, ma anche come concetto economico. Al giro di boa di fine millennio, la campagna per la cancellazione del debito, ispirata al concetto ebraico di Giubileo, mirava a concedere ai paesi più poveri un nuovo inizio. Oggi, in Africa, ci sono trentaquattro milioni di bambini in più che vanno a scuola, in larga parte perché i governi dei paesi in cui abitano hanno utilizzato al meglio i soldi svincolati dal debito. Una cancellazione che non ha posto fine alla schiavitù economica, ma ha significato una nuova speranza per molti. Ed è a questi molti - di certo non a pochi privilegiati - che ci deve condurre la ricerca della nostra anima, qualsiasi strada decida di percorrere.
Qualche settimana fa mi trovavo a Washington, quando iniziò a circolare la notizia di possibili tagli al budget del presidente per il sostegno ai paesi in via di sviluppo. La gente diceva che sarebbe stato difficile mantenere promesse fatte a persone che vivono in condizioni terribili a migliaia di chilometri di distanza, quando anche in America c’è tanta, troppa miseria. E ce n’è.
Da poco, però, ho letto che un numero sempre maggiore di cittadini americani si dedica al volontariato, non potendosi permettere di dare una mano con offerte in denaro. E alla fine, grazie a un voto bipartisan del Senato, sembra che il Congresso ristabilirà i fondi tagliati ai paesi in via di sviluppo - un rifiuto ad abbandonare chi paga già un prezzo molto alto per una crisi di cui non è responsabile. In tempi bui e agitati, la gente dimostra ciò che è veramente.
La vostra anima.
In questo periodo di crisi, gran parte del dibattito ruota attorno al valore delle cose, non ai valori. Un aiuto ben speso può essere un ottimo esempio per entrambi - il valore dei soldi e i valori che nascono dai soldi. Fornire medicinali e cure mediche a circa quattro milioni di persone ammalate di AIDS, mettere in atto semplici e ragionevoli misure di assistenza e controllo delle nascite, tentare di debellare malattie letali come la malaria e i rotavirus - tutto questo è una piccola spinta lungo la scalata verso l’autosufficienza, un modo per aiutarci ad avere più amici in un mondo facile all’odio. Non sono elemosine, sono un investimento. Non è carità - è giustizia.
Stranamente, mentre usciamo dalla piccola chiesa in arenaria, in fila sotto un sole spietato, penso a Warren Buffett e a Bill Gates, che hanno devoluto parte delle loro ricchezze alla lotta contro l’estrema povertà. Entrambi agnostici, credo. Penso a Nelson Mandela, che ha dedicato la propria vita a sostenere i diritti altrui. Un uomo spirituale, senza dubbio. Religioso? Da quel che mi si dice, non si descriverebbe in questo modo.
Non tutta la musica dell’anima esce dai portoni delle chiese."
Traduzione di Silvia Montis. © 2009 Bono/The New York Times. Questo articolo è originariamente apparso sul The New York Times del 18 aprile. (Distribuited by The New York Times Syndicate)
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